«Non ho paura per me ma per i miei genitori» Le riflessioni del giovane Matteo Bonelli: «La storia di questa città scuote i nostri cuori e le nostre coscienze»
Casale Monferrato – «Sono un cittadino di Casale e questo basta per spiegare il mio impegno contro l'amianto e per la giustizia». Si presenta così Matteo Bonelli, 23 anni, studente in giurisprudenza a Torino e militante dell'Associazione dei familiari delle vittime. Quando lui è nato, la fabbrica dell'Eternit aveva già chiuso i battenti, ma si ricorda perfettamente della presenza di quello stabilimento, che da bambino ha imparato a conoscere come «una sorta di mostro»: «quando ci si passava davanti, pur non avendo la perfetta consapevolezza di cosa significasse l'Eternit, si percepiva che in quel luogo erano capitate cose brutte». Cose brutte che hanno toccato direttamente anche la sua famiglia: «Sì - racconta - in tutta questa vicenda c'è anche un pezzo di storia personale, perché dieci anni fa mio nonno è morto di mesotelioma». Anche lei, come molti suoi concittadini, ha paura di ammalarsi? Al momento non ho paura per me, ma per i miei genitori, perché hanno un'età intorno ai cinquant'anni e dunque fanno parte di una generazione che rischia di più della mia. Il pensiero che un giorno uno di loro si possa ammalare è dentro di me. E poi c'è la storia della città, che, con i suoi 1.800 morti, pesa su di noi e scuote i nostri cuori e le nostre coscienze. Qual è e quale deve essere il contributo dei giovani casalesi alla causa contro l'amianto? A volte, svolgendo attività politica, ho avuto la sensazione di essere uno dei pochi ad avere certe sensibilità, ma in questa vicenda dell'Eternit la partecipazione dei giovani è significativa: c'è chi s'impegna per passione, chi per sensibilità sociale e chi per coinvolgimento diretto nella tragedia. Proprio settimana scorsa abbiamo organizzato un volantinaggio davanti a tutte le scuole della città che ha mobilitato decine e decine di ragazzi, il che è semplicemente straordinario. Penso che quanto successo in città negli ultimi mesi in relazione all'offerta in denaro al Comune (infine rifiutata, vedi box, ndr) da parte dell'imputato Stephan Schmidheiny abbia risvegliato molte coscienze e dato ancora più vigore al movimento. Noi giovani casalesi, che già ora, attraverso l'entusiasmo e un po' di sana follia, diamo iniezioni d'energia al movimento, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità, consapevoli che c'è una battaglia da portare avanti anche nei prossimi decenni.
«Serve giustizia, qui e adesso» La testimonianza del parroco di Casale don Marco Pivetta: «Lottiamo per il bene degli uomini»
Casale Monferrato – «Sembra di essere su una nave fuori controllo». Ci troviamo nella Chiesa di San Carlo, a poche centinaia di metri di distanza dal sedime dove sorgeva la fabbrica dell'Eternit e a descrivere così la situazione di Casale Monferrato è il parroco. Don Marco Pivetta, 45 anni, ricopre questa funzione solo dal 1997, ma conosce bene la realtà della sua città, perché qui è nato e cresciuto. Anche lui il dramma dell'amianto l'ha vissuto in casa, ma non ce lo rivela subito. Inizia a parlare dei malati e dei loro familiari che oggi frequentano la sua parrocchia ammettendo che a volte «è dura» dare sostegno spirituale alle persone confrontate con questo dramma, perché, spiega, «un'ingiustizia è un'ingiustizia. Non ci sono rimedi». «È gente che lavorava per vivere e non sapeva cosa rischiava. Insieme alle loro famiglie venivano presi per la gola dai loro datori di lavoro, interessati solo al profitto», prosegue con rabbia don Marco, ricordando come i lavoratori fossero disposti a fare qualsiasi sacrificio pur di prendere il posto alla Eternit: «Anche mio padre ha lavorato in quella fabbrica per dieci anni: ci andava in bicicletta percorrendo più di venti chilometri al giorno, in estate come in inverno». «È morto pure lui. Di mesotelioma», aggiunge quasi sottovoce. Il caso ha voluto che don Marco finisse a fare il parroco proprio qui («forse un segno del destino», commenta) e a diventare anche lui uno dei tanti attori della battaglia per la giustizia che in questa città coinvolge proprio tutti. Già, ma quale giustizia? «Ai miei parrocchiani ricordo che esiste una giustizia divina (diversa da quella terrena) che in fondo è la sola cosa che può ridare un po' di pace. Del resto, se non esistesse, non varrebbe nemmeno la pena comportarsi bene. Ma noi cristiani non è che possiamo restare in attesa della giustizia superiore, perché siamo qui a lottare per il bene degli uomini e dunque dobbiamo fare di tutto per ottenere giustizia, qui e adesso», conclude Don Marco Pivetta.
L'insegnante: «racconto la verità»
Casale Monferrato – Educare i giovani e incoraggiarli a partecipare a una battaglia di civiltà e di giustizia. È un obiettivo che a Casale Monferrato viene perseguito attraverso numerose iniziative culturali che coinvolgono tutte le scuole della regione. Nonostante i bambini e i ragazzi in genere non abbiano paura di ammalarsi e di morire a causa dell'amianto, la tragica vicenda dell'Eternit fa parte anche della loro vita.
Ne sa qualcosa Assunta Prato (foto), insegnante di scuola secondaria da pochi mesi in pensione e autrice di un libro (fresco di stampa) che racconta la storia della fabbrica maledetta attraverso il realismo dei fumetti. L'abbiamo incontrata nei giorni scorsi negli uffici della Camera del lavoro e quartier generale dell'Associazione dei familiari delle vittime dell'amianto di Casale Monferrato, dove ci siamo recati in vista della sentenza del processo di Torino per raccogliere riflessioni e testimonianze di alcuni esponenti della società civile. Signora Prato, come vengono informati e sensibilizzati i bambini di Casale sulla tragedia che colpisce la loro città? A scuola ho conosciuto molti ragazzi che l'hanno vissuta direttamente perché hanno visto morire il loro nonno di mesotelioma. Un evento che per loro rappresenta un dramma personale dovuto al distacco da una persona cara, ma che non li induce a porsi domande sulle cause e sulle responsabilità. Personalmente, come insegnante sono sempre stata attenta a divulgare l'esigenza di rispettare l'ambiente, facendo per esempio partecipare i miei allievi ad un concorso (che si tiene ogni anno in città) incentrato sul rapporto tra salute e ambiente e in particolare sulle problematiche legate all'amianto. Una questione che per me ha assunto un significato ben più drammatico a partire dal 1994, quando a mio marito fu diagnosticato il mesotelioma che due anni più tardi lo portò alla morte, non ancora cinquantenne. In che termini parlava della sua vicenda personale ai suoi allievi? Raccontavo senza alcun ritegno quanto mi era successo. Non per giocare facile o sporco sulle emozioni, ma per raccontare cose vere, reali, per rendere coscienti i ragazzi di un problema della città. Cosa l'ha spinta a raccontare la storia dell'Eternit attraverso il fumetto? Due anni fa colsi casualmente un dialogo tra due ragazzini che s'interrogavano sul significato delle bandiere tricolore con la scritta "Eternit giustizia" che da allora (cioè dall'avvio del processo di Torino) sono esposte un po' ovunque nella nostra città. Mi venne allora l'idea di provare a raccontare la vicenda attraverso un fumetto. Un fumetto che ripercorre settant'anni di Eternit: i tempi in cui era una fabbrica che prometteva benessere e speranza per il futuro, la lenta presa di coscienza del male che comportava per la salute, le lotte sindacali dentro la fabbrica, la battaglia contro il mesotelioma e l'inquinamento d'amianto che successivamente ha coinvolto tutta la città, così come i vari passaggi del processo torinese. È possibile informare dei bambini senza suscitare in loro quei sentimenti di paura della malattia che sono diffusi nella popolazione adulta di Casale Monferrato? Non ho mai spinto sul pedale della paura. I bambini si sentono immortali e non sarebbe giusto scalfire questa loro certezza, ma è importante che prendano coscienza del problema e delle responsabilità verso una città che, pur essendo la più bonificata del mondo, ne deve ancora compiere di strada per liberarsi dall'amianto. |