«Si avvia una nuova ondata di proteste, gli scontri saranno sempre più estremi e aumenteranno le violenze», ci ha assicurato un attivista di Isfahan. Non accenna a fermarsi la repressione in Iran. È stato impiccato con l’accusa di spionaggio nel caso dell’uccisione mirata del 2020 dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh, l’ex viceministro della Difesa negli anni del riformismo tra il 2000 e il 2005, Alireza Akbari, con doppia cittadinanza inglese e iraniana. «L’esecuzione manifesta lo scontro all’interno dell’élite politica iraniana», ci ha spiegato un attivista di Rasht, in particolare tra le componenti riformiste vicine ai movimenti e l’establishment conservatore al potere. L’esecuzione è stata preceduta da altre due, quattro in totale, condanne a morte di manifestanti. Mohammad Mehdi Karami e Mohammad Hosseini sono stati uccisi con l’accusa di essere i responsabili della morte del paramilitare basiji, Ruhollah Ajamian, nelle manifestazioni che vanno avanti da oltre cento giorni, dopo l’assassinio per mano della polizia morale della giovane curda Mahsa Amini lo scorso settembre. Si avvicinerebbe a cento il numero totale di attivisti iraniani che aspettano l’esecuzione nel braccio della morte, tra loro il 18enne Mehdi Mohammadifard, condannato a morte per la sua partecipazione alle proteste. Come se non bastasse, nonostante gli annunci del ministero della Giustizia, sono ripresi i controlli sull’abbigliamento femminile da parte delle autorità iraniane, dopo la nomina del radicale Ahmad Reza Radan quale comandante della polizia. Così come non si fermano nuove proteste e imponenti commemorazioni a 40 giorni dall’uccisione dei manifestanti negli scontri di piazza, come nel caso di Ali Abbassi a Semirom, cittadina nel centro del paese. Nelle ultime settimane sono però arrivate dure prese di posizione delle cancellerie europee, ma anche di Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda, dopo l’imposizione di sanzioni mirate aggiuntive contro alcuni esponenti dell’oligarchia politica e militare al potere in Iran, approvate lo scorso autunno dall’Unione europea. E le reazioni iraniane non hanno tardato ad arrivare. I colloqui per un accordo sul programma nucleare iraniano (Jcpoa) sono ormai in una fase di stallo dall’inizio della guerra in Ucraina. La Germania ha sospeso le linee di credito per le esportazioni e le garanzie per gli investimenti di tutte le aziende tedesche che fanno affari con l’Iran. Dal canto suo, la Gran Bretagna ha ritirato temporaneamente l’ambasciatore in Iran, mentre è arrivata la richiesta delle autorità britanniche a tutti i cittadini inglesi e occidentali di lasciare la Repubblica islamica in seguito all’arresto nella provincia di Kerman di sette persone che avrebbero avuto legami con Londra. La Gran Bretagna aveva annunciato una serie di sanzioni aggiuntive contro 30 individui, tra cui esponenti delle autorità iraniane, per serie violazioni dei diritti umani. Anche con la Francia i rapporti bilaterali appaiono quanto mai tesi. Già la linea di Parigi nei confronti dell’Iran non è mai stata molto aperta al dialogo. A esacerbare le tensioni è arrivata la convocazione dell’ambasciatore francese in Iran, Nicolas Roche, in seguito alla pubblicazione di caricature che ritraggono la guida suprema, Ali Khamenei, da parte del giornale satirico Charlie Hebdo. Nonostante le pressioni internazionali e le ripercussioni nei rapporti bilaterali, l’Iran va avanti con arresti e censure. Il giornalista Mehdi Beik, del quotidiano riformista Etemad, è stato arrestato per le sue interviste ai familiari degli attivisti condannati a morte. Secondo il quotidiano riformista Faraz, almeno 73 giornalisti e fotogiornalisti sarebbero stati arrestati dall’inizio delle proteste. Come è avvenuto nel caso di Milad Alavi, del quotidiano riformista Sharq, arrestato soltanto per aver coperto le proteste in corso.
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