Telelavoro, smart working, home office. Sono termini per definire lo svolgimento di prestazioni lavorative al di fuori della sede dell’impresa (al proprio domicilio o altrove), con cui tutti noi abbiamo cominciato a familiarizzare esattamente cinque anni fa, con lo scoppio della pandemia di Covid-19, che bruscamente arrestò il mondo e ci costrinse a radicali cambiamenti nella nostra vita quotidiana. Anche la Svizzera, come praticamente tutti i paesi, si ritrovò, priva di un piano pandemico degno di questo nome (non c’erano nemmeno le mascherine e i governanti erano “costretti” a dirci che non servivano a nulla), ad adottare urgentemente drastiche misure per contenere la diffusione del virus, evitare il collasso del sistema sanitario e ridurre il numero dei morti, che saranno comunque almeno 14.000. Le parole d’ordine: distanziamento sociale, divieto di assembramento, chiusura di negozi, ristoranti, strutture ricreative, divieto di entrare in Svizzera per tutte le persone provenienti dai paesi confinanti. E, laddove possibile, telelavoro: una misura, come le altre, che ha avuto lo scopo di tutelare la salute e la vita delle lavoratrici e dei lavoratori e dei loro familiari, salvaguardando al tempo stesso il funzionamento delle attività economiche. Se prima della pandemia, che ci siamo nel frattempo fortunatamente lasciati alle spalle, solo una minima parte dei lavoratori conosceva il telelavoro, oggi in Svizzera circa il 40 per cento dei salariati lavora, occasionalmente o abitualmente, da casa. Una modalità che certamente può avere effetti benefici sia per il singolo in termini di autonomia o nell’organizzazione della vita familiare e privata, sia per la collettività, perché home office significa anche meno spostamenti, meno traffico e meno inquinamento. E anche per molte imprese che col diffondersi del telelavoro e strapazzando un po’ il carattere “volontario” dell’accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore su cui esso dovrebbe basarsi, hanno ridotto drasticamente gli spazi di lavoro in sede: uffici con postazioni condivise da più collaboratori sono ormai una realtà diffusa. Dall’esperienza di questi ultimi anni emergono però anche aspetti critici. Si pensi alla fluidità del confine tra vita professionale e vita privata che si può creare lavorando l’intera giornata al proprio domicilio e che la gran parte dei lavoratori dichiara di considerare come un fattore di rischio per il proprio benessere e la propria salute. È una problematica fatta presente da specialisti in medicina del lavoro e da molti altri soggetti che hanno partecipato alla consultazione su una modifica della Legge federale sul lavoro attualmente in discussione in Parlamento e che sta prendendo una piega preoccupante. Ignorando queste preoccupazioni e con il pretesto della “flessibilità”, la maggioranza di destra della competente commissione del Consiglio nazionale punta infatti a un vero e proprio smantellamento della protezione della salute dei salariati che saltuariamente o stabilmente praticano telelavoro, introducendo una regolamentazione totalmente squilibrata a sfavore dei dipendenti. Il testo approvato (che deve ancora passare al vaglio dell’aula) prevede che in futuro al proprio domicilio si dovrà potere o dovere lavorare dalle 6 del mattino alle 11 di sera, cioè 17 ore filate (contro le già non poche 14 attuali). Inoltre il riposo quotidiano viene, di regola, ridotto da 11 a 9 ore e oltretutto può anche essere interrotto prima qualora vi sia la necessità di svolgere attività “urgenti”. Infine, si può pure essere chiamati a lavorare fino a sei domeniche all’anno senza bisogno di alcuna autorizzazione. Certamente la gente non dovrà lavorare tutto questo tempo, ma la giornata lavorativa potrà essere spalmata in questa forchetta di ore. Con una simile liberalizzazione unilaterale della legislazione sul lavoro (una delle tante) il dipendente deve essere a disposizione del datore di lavoro praticamente 24 ore su 24, in funzione dei bisogni dell’azienda. Eppure è da tempo scientificamente provato che giornate lavorative troppo lunghe e brevi periodi di riposo costituiscono un rischio per la salute, soprattutto psicofisica. Se durante la pandemia il telelavoro è servito a proteggere la salute delle persone, ora si cerca di farne uno strumento di flessibilità a profitto esclusivo del padrone e a danno di chi lavora. |