Teh, tipo, un po’ di rispetto!

La scena si svolge in un quartiere di periferia, fuori da un supermercato. È una scena banale di vita quotidiana. Alcuni giovani sono riuniti davanti all'entrata e discutono animatamente. Per entrare un cliente frettoloso dovrebbe aggirare il gruppetto. Non lo fa. E urta uno dei ragazzi. «Teh, tipo, un po' di rispetto!» gli grida il giovane con un tono fra il dialetto e lo slang dei rapper americani. Un'osservazione che ha il dono di far infuriare il cliente: «Mi parli correttamente», replica l'uomo, «altrimenti le insegnerò io cosa vuol dire rispetto».
Mentre il cliente ha confuso il rispetto con la buona educazione, l'adolescente ha utilizzato dei termini assolutamente corretti. La parola rispetto deriva dal latino "respectus" e significa etimologicamente girarsi o guardare dietro di sé. Agire con rispetto vuol dire quindi che dobbiamo voltarci, che dobbiamo guardare indietro per vedere dove sono rimasti gli altri. Questo modo di agire richiede evidentemente una certa elasticità nella regione della nuca. Il collo di un toro mal si addice al rispetto. Chi non vuole guardare ogni tanto attorno a sé e una volta o l'altra dietro di sé non è predisposto al rispetto.
Di questi tempi si sente spesso dire, e non solo negli ambienti economici, che bisogna guardare avanti, fissare lo sguardo sul proprio obiettivo e procedere di buona lena. Il rispetto è tutt'altro. Il rispetto ha a che fare con le premure e la considerazione. Fissare lo sguardo solo sull'obiettivo da raggiungere ci rende simili ad un cavallo con il paraocchi. È per questo che non è per nulla casuale l'accresciuta considerazione di cui gode negli ultimi tempi la parola rispetto nel linguaggio giovanile, in particolare fra i giovani stranieri. I giovani, soprattutto quelli che non trovano un posto di formazione, hanno tutto il diritto di gridare «Teh, tipo, un po' di rispetto!». Capiscono intuitivamente cosa manca nel mondo del lavoro e nella società. Prendiamoli alla lettera, perché ci invitano a toglierci il paraocchi, a rallentare il passo, a guardare dietro di noi e forse ad accorgerci che, in questa corsa al profitto e al successo, non finisce mai di aumentare il numero di coloro che rimangono al bordo della strada.
La parola rispetto sta diventando sovversiva. Perché chi si volta per guardare con attenzione dietro di sé entra in contraddizione frontale con tutto quel che ci insegna oggi il catechismo del massimo profitto. La nostra élite autoproclamata dei campioni degli utili e degli apostoli della massimizzazione dei profitti non conosce rispetto. Chiunque prenda alla lettera il rispetto non può fare altro che osservare con sguardo molto critico le ingiustizie. Diventiamo dunque sovversivi nella nostra vita professionale e privata: trattiamoci con rispetto.

Pubblicato il

27.04.2007 00:30
Pedro Lenz
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