“Grounding”, il film sul fallimento della compagnia aerea Swissair, prosegue la sua marcia vittoriosa al botteghino ampliando i suoi territori di conquista. Lo scorso week end è infatti sbarcato anche in Svizzera francese e in Ticino (con sottotitoli in italiano). Facendo segnare subito un ottimo risultato in Romandia: 16 mila spettatori l’hanno visto nelle 16 sale in cui è in programmazione. Finora “Grounding” è stato visto da oltre 300 mila persone. Cosa che dovrebbe rallegrare il suo produttore Peter-Christian Fueter: mancano infatti soltanto 50 mila spettatori per pareggiare i conti. Il film, costato 4 milioni e mezzo di franchi, è il secondo grande successo registrato da Fueter e della sua C-Films negli ultimi mesi: con il precedente “Mein Name ist Eugen”, costato 6 milioni, è giunto finora a 550 mila spettatori. In comune questi due film hanno anche il regista, Michael Steiner, assurto in pochi mesi a stella di prima grandezza del nostro cinema. Merito di Fueter, che nei suoi progetti e nel gruppo di persone che lavora con lui ci crede fino in fondo. “Grounding” è un film pensato e voluto soprattutto da lui. In questa intervista spiega il perché. Peter-Christian Fueter, in “Grounding” si vede un’idea realizzata coerentemente dall’inizio alla fine. Ha potuto attuare appieno il progetto che aveva in mente quando ha cominciato a lavorarci? Fondamentalmente sì. Avevo due idee in partenza. La prima è che quanto accaduto fra il 29 settembre e il 2 ottobre 2001 è un vero e proprio thriller: non c’era nulla da inventare. La seconda idea è che ciò che s’è verificato in piccolo con il grounding è sintomatico di quanto succede oggi alla Svizzera: è un paese che non ha più visioni, coraggio, fiducia in sé, che è lacerato nella popolazione, nel mondo politico, nell’economia. La mia visione di “Grounding” era dunque quella di un thriller politico. Inizialmente volevo raccontare solo questi quattro giorni con un piccolo prologo e un piccolo epilogo. Poi però abbiamo aggiunto dei personaggi inventati ispirati ai dipendenti di Swissair e alla gente comune. Questo perché altrimenti la storia avrebbe interessato una cerchia limitata di persone particolarmente attente, ma non un più ampio pubblico che ha bisogno di personaggi in cui identificarsi e di agganci su un piano più emotivo. Mario Corti ci appare in “Grounding” come un eroe senz’altro positivo, tutti gli altri, a partire da Marcel Ospel di Ubs, sono i cattivi. È convinto che le cose stiano così o è stata una necessità drammaturgica che l’ha spinta a semplificare le cose? Ammetto che in un film sono necessarie delle semplificazioni per ragioni drammaturgiche. Ma voglio stare ai fatti e ai documenti che ho raccolto, proprio per dimostrare che le cose stanno come le raccontiamo. Intanto ho osservato come un solo uomo in tutto il consiglio d’amministrazione, Mario Corti, è stato pronto ad assumersi la responsabilità di aiutare Swissair. Nei sei mesi in cui è stato alla testa di Swissair si è poi visto Corti invecchiare progressivamente, per ritrovarlo alla conferenza stampa del 1° ottobre, vigilia del grounding, completamente distrutto. L’immagine contrapposta è quella di Ospel. Lui alla stessa conferenza stampa dà con sufficienza una pacca sulle spalle a Lukas Mühlemann del Cs, lo definisce «partner» dopo che 24 ore prima lo aveva umiliato e dice «basta con gli scherzi». Quale fosse l’atteggiamento psicologico dei protagonisti nelle ore decisive è chiaro. Lo stesso Ospel nella medesima occasione annuncia che l’Ubs metterà a disposizione della liquidità per Swissair così che l’esercizio possa proseguire: il 2 ottobre è l’Ubs che non libera i mezzi necessari. Certamente un film di due ore enfatizza alcune posizioni: ma non abbiamo inventato nulla. L’Ubs ha chiesto alla Confederazione che un giurista esaminasse la sceneggiatura per evitare violazioni della personalità di alcune persone coinvolte o danni economici alla banca. Come ha vissuto questa richiesta? La prima reazione è stata di diffidenza nei confronti di una possibile censura. Ma la Confederazione ha saputo analizzare i problemi in maniera differenziata senza censurarci. Ha indicato quali punti avrebbero potuto essere delicati, suggerendoci di affrontarli in maniera diversa. Abbiamo quindi cercato in tutti i modi di dire quello che volevamo ma in un modo che non prestasse il fianco a critiche. Per questo abbiamo lavorato a lungo alla sceneggiatura. Alcune cose che avremmo voluto alla fine mancano, ma sono poche e non essenziali. Un esempio? Volevamo mostrare anche una parte privata di Jacqualyn Fouse, la consulente finanziaria di Corti, per dare più spessore al suo personaggio, lei che è l’unica donna in un gruppo esclusivamente maschile. Avevamo ricevuto alcune informazioni sulla sua vita privata, psicologicamente molto interessanti, che non ne mettevano per nulla in discussione la reputazione. Ma gli avvocati ci hanno detto che non potevamo perché avremmo violato la sua sfera privata. Ci abbiamo quindi rinunciato. Del resto tutti i protagonisti principali della vicenda sono ridotti alla loro dimensione pubblica: anche per questo abbiamo inventato dei personaggi di pura fantasia che vediamo nella vita privata per recuparare la dimensione psicologica ed emotiva del dramma. “Grounding” usa un linguaggio filmico molto moderno, spregiudicato. Eppure il film non funziona benissimo presso i più giovani. Avete sbagliato i calcoli? No, al contrario. Se il film non fosse stato così fresco e moderno non sarebbe andato nessun giovane a vederlo: per catturarli dovevamo adottare un linguaggio filmico che li potesse interessare, e i giovani più attenti questo film lo vanno a vedere. Avevo semmai paura che con un linguaggio filmico così spregiudicato si spaventassero le generazioni più anziane, quelle realmente interessate al tema e al mito di Swissair. Ma così non è stato. Ci sono reazioni diverse fra Svizzera tedesca e Romandia? Per i romandi questo è un film svizzero tedesco. Ed è chiaro: a metà degli anni ’90 Bruggisser aveva di fatto liquidato l’aeroporto di Ginevra, con pesanti conseguenze per l’economia e l’orgoglio dei romandi. D’altro canto prendono atto con una certa soddisfazione del fallimento degli svizzeri tedeschi in Swissair. Un’idea sviluppata in squadra Signor Fueter, “Grounding” è un tipico film di produttore, nel senso che è lui e non il regista-autore la figura centrale nel processo creativo. Cosa mi risponde se le dico che è il film di Peter-Christian Fueter? È un’idea di Peter-Christian Fueter. Poi come produttore non ho fatto altro che domandarmi chi poteva realizzare al meglio la mia idea. Ho quindi radunato una squadra di 5 sceneggiatori e assieme abbiamo sviluppato la sceneggiatura. Con il team di ripresa (cameraman, scenografi, regista) abbiamo poi definito come formalmente avrebbe dovuto essere il film. Da qui in poi il film non è più il mio, ma di un gruppo di persone che ha attuato la mia idea. Ma sono fiero di chi ho scelto e di come hanno lavorato. Perché credo che ci siano pochi film svizzeri in cui ogni settore ha lavorato con così tanta professionalità. Le faccio solo l’esempio della scenografia. Il film si svolge per due terzi in uffici: se non fossero stati realizzati in maniera straordinaria, con un doppio soffitto con 400 fari per permettere alla camera di muoversi ovunque in questi spazi, l’effetto sarebbe stato subito falso, posticcio. La produzione di “Grounding” è esclusivamente svizzera. Non ha cercato soldi all’estero? No, perché dal momento in cui si chiedono soldi per delle coproduzioni si devono fare rinunce, concessioni o compromessi. Sapevo che questo avrebbe dovuto essere un film completamente svizzero altrimenti non avrebbe avuto nel nostro paese quel successo di cui abbiamo bisogno per ammortizzare gli investimenti. “Höhenfeuer” di Fredi Murer era del resto pure un film totalmente svizzero, ma ha saputo avere una risonanza internazionale. Ebbene, quel film dimostra che se un’opera è fatta bene può affermarsi a livello internazionale anche se è radicalmente svizzera. E penso che è ciò che accadrà con “Grounding”. Già oggi si sono annunciati potenziali acquirenti dal Belgio, dalla Germania e dagli Stati Uniti. È d’accordo se dico che “Grounding” è stato prodotto “all’americana”? Sì. Trovo che i film americani non sono sempre appassionanti dal punto di vista dei contenuti, ma il loro modo di produzione è conseguenza di uno sviluppo storico. D’altra parte per gli americani il cinema è un settore economico importantissimo. Da questo punto di vista possiamo solo imparare da loro. In Svizzera siamo abituati a vedere un autore che lavora tutto da solo, che ci mette anni a scrivere un film, che poi dopo lunghe trattative per finanziarlo lo gira con molti compromessi, infine lo monta ma è deluso del risultato perché non aveva tutti i soldi che ci volevano per attuare il suo progetto. Dove abbiamo sbagliato? In Svizzera spesso i produttori non si sono assunti il loro ruolo. Fino agli anni ’60, nel cosiddetto vecchio cinema svizzero, c’erano ancora condizioni di produzione paragonabili a quelle che si trovavano sul piano internazionale: il produttore era la figura di riferimento nel processo creativo (emblematico era il modo di lavorare della Praesens film). Negli anni ’60 come reazione è nata la generazione del cinema d’autore, che ha conosciuto uno sviluppo straordinario nei decenni successivi. È con questa generazione che s’è sviluppato e si è consolidato il sostegno al cinema come la conosciamo oggi in Svizzera. Si tratta di un sostegno all’autore, così che l’autore ha acquisito una posizione di assoluta preminenza. Il ruolo del produttore è stato ridotto, facendolo dipendere sostanzialmente dall’autore. Questa strategia è stata positiva fino agli anni ’80, in quanto in Svizzera avevamo una generazione di ottimi autori. Ma poi l’aver sottovalutato i produttori ha portato a grosse difficoltà nel garantire la continuità della produzione e questo alla fine ha danneggiato tutti. I successi di “Achtung, fertig, Charlie!”, “Mein Name ist Eugen” e “Grounding” indicano che siamo all’inizio di un nuovo ciclo? Ne sono convinto. Spero che da oggi sia possibile una convivenza di cinema d’autore e di cinema di produttore. Io concepisco il cinema come lavoro di squadra. Per troppo tempo invece si è vissuto di pregiudizi e di contrapposizioni fra autori e produttori, fra cinema e televisione ecc… Ma se oggi sta crescendo una nuova generazione di bravi registi è anche perché hanno avuto l’occasione di imparare il mestiere in produzioni televisive. Un film degno di Hollywood Peter Christian Fueter decise di produrre un film sul grounding di Swissair dopo aver letto il libro “Der Fall der Swissair” di René Luchinger, minuziosa ricostruzione dei fatti, soprattutto nei suoi aspetti economici e politici, fra la primavera e l’autunno del 2001. Da qui (e, dice Fueter, da oltre 5 mila documenti originali consultati in un estenuante lavoro di preparazione) viene la base per la ricostruzione filmica degli eventi che portarono, il 2 ottobre 2001, gli aerei Swissair a rimanere incollati a terra. È una ricostruzione che si avvale di ottimi attori nella parte dei protagonisti di quella vicenda (Mario Corti, Marcel Ospel, Lukas Mühlemann, Moritz Suter e così via), spesso intercalati ai loro alter ego reali ripresi da documenti filmati originali. Ma “Grounding” è un film che colpisce anche sul piano emotivo, in un misto di commozione e rabbia, grazie al racconto svolto in parallelo di come delle persone comuni, fittizie ma verosimili, hanno vissuto gli eventi sulla loro pelle: dall’hostess al copilota, dall’impiegato del catering al figlio che lavora all’Ubs. “Grounding” è un ottimo prodotto cinematografico che regge perfettamente il confronto con la concorrenza hollywoodiana: ben scritto, ben diretto, ben recitato, ben montato. Può essere criticato per la semplificazione nella quale forza l’intera vicenda (responsabile quasi unico sarebbe Marcel Ospel di Ubs), ma certamente non per le sue qualità cinematografiche. Per una recensione più completa cfr. area n. 4 del 27 gennaio 2006, www.area7.ch.

Pubblicato il 

10.03.06

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato