Lavoro & Giustizia

Nel (quasi) deserto svizzero di studi scientifici sull’impatto del Covid a livello socio-economico o nel mondo del lavoro, un’analisi dell’Università di Berna di recente pubblicazione dimostra quanto i poveri e diverse tipologie di lavoratori abbiano dei rischi nettamente maggiori di contrarre la malattia e di morirne. Uno studio importante, poiché per quanto si potesse supporne la correlazione, una conferma scientifica sbarazza il campo dalle narrazioni ideologiche.

 

Le conclusioni dello studio coincidono con quanto già riscontrato a livello cantonale a Ginevra in una precedente analisi, ma col pregio di estendere il campo di ricerca all'intera Svizzera.

 

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Il gruppo di ricerca, condotto dall’epidemiologo Matthias Egger (ex capo della Task force Covid federale), ha fondato l’analisi sui dati ricevuti dall’Ufficio federale della sanità pubblica. Nel dettaglio, partendo dal luogo di residenza di 2,5 milioni di persone testate e delle quali 420mila erano risultate positive, il cerchio è stato poi ristretto alle 18mila ospedalizzazioni conseguenti e infine ai 6mila decessi tra marzo 2020 e febbraio 2021 in Svizzera.

 

A partire da questa enorme mole di dati, gli studiosi hanno stabilito se vi siano stati più contagi (e morti) in proporzione nei quartieri popolari o benestanti.

 

I dati non lasciano dubbi. Nei quartieri più poveri vi sono state 29 ospedalizzazioni nei reparti di cure intense su 100mila abitanti. Nei quartieri più ricchi invece i ricoveri sono stati 13, ossia meno della metà. La diseguaglianza economica di fronte alla morte da Covid è stata altrettanto drastica, pur tenendo conto dei fattori quali l’età o il sesso. Inoltre, lo studio ha constatato che le persone più povere hanno avuto il 40% di probabilità in meno di fare il test.

 

Storicamente, nelle classi povere si riscontravano già tassi più elevati di obesità o di malattia croniche, quei fattori che aumentano i rischi di avere un decorso più grave nel caso di contagio da Covid, hanno precisato gli esperti. Ma quest’ultimi hanno sottolineato quanto queste persone corrano dei rischi maggiori d’infettarsi perché la possibilità di telelavoro è loro preclusa e debbano lavorare in ambienti meno protetti, quali cantieri, fabbriche o alberghiero e ristorazione. Smentendo così almeno in parte la narrazione secondo cui nei posti di lavoro in Svizzera non ci si ammala.

 

Intervistato da Le Temps, il professor Egger ha spiegato «che i rischi più elevati d’infezione e la frequenza di malattia croniche giocano certamente un ruolo, ma abbiamo constato che il depistaggio è stato condotto in modo meno intenso nei quartieri più sfavoriti». Una diagnostica tardiva che, nel caso del Covid, equivale sovente a un decorso più grave della malattia, se non fatale. L’ex capo della Task force ha poi aggiunto: «nei quartieri poveri, dove sono stati eseguiti meno test, il tasso di positività era molto più alto rispetto agli altri quartieri. Si sarebbe dovuto fare più test proprio nei quartieri economicamente svantaggiati»

Pubblicato il 

27.04.21
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