Svizzera, lavoro da migliorare

Il lavoro in Svizzera? Generalmente vissuto bene se messo in relazione con i paesi dell'Unione europea. Questo il principale risultato scaturito dall'inchiesta europea sulle condizioni di lavoro condotta in 31 paesi ogni 5 anni e presentata martedì dal Segretariato di Stato dell'economia (Seco). Ma se c'è da rallegrarsi per molti aspetti, per altri – presi al di là della logica "hit parade" – la situazione è sicuramente da modificare. Lo ha rilevato Doris Bianchi, segreteria centrale dell'Unione sindacale svizzera, presente alla conferenza stampa. Fra i problemi principali la salute sul posto di lavoro, la formazione continua per lavoratori non qualificati, la presenza femminile dei posti dirigenziali e il collocamento all'interno dell'azienda.

C'era un clima di generale soddisfazione alla conferenza stampa di martedì del Seco in cui sono stati presentati i risultati della quarta inchiesta sulle condizioni di lavoro effettuata dalla Fondazione europea per il miglioramento della vita e delle condizioni di lavoro (si veda il riquadrato in pagina). La Svizzera – che vi partecipa per la prima volta nel 2005 – si situa fra i primi della classe. «In quasi tutti i criteri siamo fra i migliori», ha affermato con soddisfazione Jean-Daniel Gerber, segretario di Stato dell'economia e direttore del Seco.

Punti positivi…

Ben il 91 per cento degli intervistati si dichiara generalmente soddisfatti della propria attività professionale. Nove svizzeri su dieci si sono detti "soddisfatti" o "molto soddisfatti" del proprio lavoro.
Solo in Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna la percentuale è superiore. L'88 per cento del campione elvetico preso in considerazione (sono stati intervistati di persona 1040 lavoratori dipendenti e indipendenti che hanno almeno 15 anni) ha poi affermato che gli orari di lavoro sono in buona parte compatibili con gli obblighi famigliari e sociali. Famiglia, impegni sociali e lavoro non rappresenterebbero quindi una scelta alternativa per i lavoratori svizzeri.
Anche per quanto riguarda la formazione sul posto di lavoro, il risultato complessivo è molto buono. Ma proprio su questa dato, come su altri, se letto fra le righe e preso in assoluto – e non in relazione agli altri paesi – il rapporto non presenta solo zone di luce.

… e negativi

«In Svizzera solo il 21 per cento degli intervistati annovera una donna fra i suoi superiori. Una cifra che ci posiziona fra i fanalini di coda a livello europeo», ha detto in conferenza stampa Doris Bianchi portando poi l'esempio della Finlandia dove questa percentuale è molto superiore (39 per cento). La scarsa presenza di donne in seno agli organi di decisione e di direzione dipende – secondo la sindacalista dell'Uss –  essenzialmente dal posto di lavoro a tempo parziale: in Svizzera solo quattro donne su 10 possono contare su un lavoro a tempo pieno. Il 61 per cento è impiegato a tempo parziale. «La strategia applicata dalla Svizzera in ambito di compatibilità tra professione e famiglia – ha detto Doris Bianchi in riferimento all'alta percentuale di lavoro part-time femminile – si è rivelata un "distruggi carriera" per le donne». Fra le possibili soluzioni al problema la sindacalista ha proposto di lanciare a livello nazionale un dibattito sull'accoglienza extrafamigliare dei figli.
Un altro dato sicuramente preoccupante è che un lavoratore elvetico su tre ha dichiarato che la propria professione rappresenta un pericolo per la salute. Quasi un terzo degli intervistati afferma di soffrire di problemi di salute dovuti alla propria attività professionale. Lo stress, il mal di schiena, di spalle o alla nuca sono fra i problemi fisici più citati. Una cifra che se messa in relazione alla media europea non è così scioccante, ma che – come si dovrebbe fare – presa in assoluto deve preoccupare le autorità.
Se si va poi a guardare meglio altri dati come la formazione sul posto di lavoro ci si rende conto che in realtà sono soprattutto i lavoratori qualificati che vi possono accedere, mentre per chi ha già poca formazione le possibilità di migliorare le proprie conoscenze restano piuttosto limitate.
Secondo i risultati dell'inchiesta un lavoratore svizzero su due dichiara di non essere collocato nel migliore dei modi all'interno dell'azienda. Il 30 per cento degli intervistati ha infatti dichiarato di avere troppa formazione per le mansioni che deve svolgere mentre il 20 per cento necessiterebbe di maggiori conoscenze.
Anche nell'ambito dei processi lavorativi non è tutta luce che brilla. Un lavoratore su due dice di essere messo sotto pressione perché mentre svolge un compito gliene viene  continuamente affidato uno nuovo e più urgente.
Un lavoratore elvetico su quattro ha poi dichiarato di non ricevere aiuto dal proprio superiore quando viene richiesto.

Scarsi gli studi in Svizzera

Come detto in precedenza la Svizzera partecipa per la prima volta a questa inchiesta europea, la prossima si svolgerà nel 2010. Un'inchiesta che è però gratuita solo per i paesi membri. Non è infatti per nulla sicuro che la Svizzera  vi prenderà parte anche in futuro. Un'eventualità che preoccupa alcuni osservatori perché in Svizzera non esistono ricerche sistematiche su "salute e lavoro". Questa è stata infatti svolta da una fondazione europea, perché non dalla Svizzera? C'è molta attenzione sugli infortuni, ma l'argomento "salute sul posto di lavoro" è stato finora parecchio trascurato. Jean-Daniel Gerber del Seco ha dichiarato che il rapporto non è destinato a restare lettera morta, «prenderemo contatto con i diversi ispettori del lavoro cantonali, affinché effettuino dei controlli tenendo conto in particolare dei punti problematici». Gerber si è anche augurato che la Svizzera partecipi anche in futuro all'inchiesta di Dublino. Ma perché non creare un'inchiesta di Berna?

Pubblicato il

06.04.2007 01:30
Can Tutumlu