Sviluppo economico e giustizia sociale: ecco le sfide

Nell'ultimo numero di area Pietro Martinelli interviene nel dibattito politico sollevando la necessità per il Ps di chinarsi anche sulla «questione di come favorire lo sviluppo della nostra economia necessario per creare posti di lavoro e quelle entrate fiscali che sono condizione indispensabile per mantenere e potenziare la giustizia sociale sollecitata dall'aumento quantitativo e qualitativo». Ha ragione, ma purtroppo nell'ultimo decennio la promozione economia nel Canton Ticino si è basata essenzialmente su due fattori: la politica di defiscalizzazione e il "marketing economico" con il cosiddetto progetto Copernico promosso dal Dfe. I risultati son davanti agli occhi di tutti: salari ben al di sotto della media nazionale (600 franchi in media in meno) con la differenza di salario tra donne e uomini più marcata del resto della Svizzera, più di 10 mila persone in cerca d'impiego, oltre 7 mila iscritti agli uffici di collocamento. Con, in aggiunta, un sistema fiscale iniquo che permette che il reddito tassato non corrisponda alla reale situazione di chi ha redditi elevati e sa come destreggiarsi negli ampi margini delle deduzioni fiscali.
Per contrastare questa politica e sostenere lo sviluppo economico del nostro Cantone sono necessarie proposte forti, in campo fiscale come in quello economico. Anzitutto correttivi alla dissennata politica di deduzioni, quali lo sconto d'imposta o magari un limite massimo per le deduzioni, nell'ambito di una revisione globale della legge tributaria cantonale. Misure che garantirebbero, oltre a una migliore giustizia fiscale, anche un maggior gettito per le casse pubbliche. Accanto a un rafforzamento delle misure contro la disoccupazione e il precariato, sono inoltre necessari dei controlli di quelle aziende che beneficiano di contributi pubblici nell'ambito della legge sul rilancio dell'occupazione. Nonostante i proclami del Dfe è infatti difficile oggi sapere se e quante aziende che hanno beneficiato di aiuti cantonali hanno poi garantito posti di lavoro duraturi. Ma v'è da intervenire anche con una vera politica a sostegno delle microimprese, aziende con impiegate meno di dieci persone, molte a carattere familiare, e che in Svizzera rappresentano l'87 per cento degli impieghi. Il settore dei piccoli artigiani o delle piccole ditte di famiglia è oggi più che mai strozzato tra una sempre più marcata concorrenza e una ridotta previdenza sociale.
Concretamente il Ticino deve investire per creare posti di lavoro duraturi. Ad esempio nel campo delle energie rinnovabili, nel risanamento energetico. Investimenti ad alto valore aggiunto, rivolti al futuro, che potrebbero coniugare ricerca e imprese. Oggi il Ticino è al terz'ultimo posto tra i 26 cantoni svizzeri per quanto riguarda gli investimenti in questo settore. Proposte che con altre, quali maggiori investimenti pubblici alla ristrutturazione di stabili per alloggi a pigione moderata o misure contro il dumping salariale (maggiori controlli in applicazione alle misure di accompagnamento sugli accordi bilaterali, introduzione di salari minimi laddove non ci sono i contratti collettivi di lavoro ecc.), devono diventare il centro del dibattito politico. Proposte concrete che credono in un ruolo attivo dello Stato, in contrapposizione a chi con i soldi pubblici ha coltivato piuttosto interessi particolari o i propri affari.

* capogruppo socialista in Gran Consiglio

Pubblicato il

08.12.2006 13:00
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