Sull'Airbus dei posti silurati

La decisione era nell'aria da mesi. L'impressionante ritardo accumulato nella consegna del modello di punta, il "gigante dei cieli" A380, la rincorsa alla Boeing persa prima ancora di cominciare, la gara tra Germania e Francia nell'attribuirsi reciprocamente la responsabilità per gli errori manageriali commessi: tutti elementi che lasciavano presagire che la crisi di Airbus l'avrebbero pagata i lavoratori. Così l'annuncio arrivato nei giorni scorsi sul taglio di 10.000 posti di lavoro tra Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna non ha stupito più di tanto gli interessati.

In Germania saranno venduti – non si sa bene a chi ma questa è la versione ufficiale dell'azienda – gli impianti di Laupheim in Baden-Württemberg e di Varel in Bassa Sassonia che attualmente danno lavoro ad un totale di 3.700 persone.
Per l'impianto di Nordenham, sempre in Bassa Sassonia, invece, il futuro è incerto: ufficialmente Airbus cerca un partner con cui continuare a far funzionare l'impianto, ma non è detto che lo trovi. A Nordenham lavorano al momento oltre 2.000 persone.
All'ufficializzazione del "piano di risanamento", che porta il nome di "Power 8", da parte del francese Louis Gallois e del tedesco Gerhard Puttfarken, la coppia di vertice del consorzio, i governi di Berlino e Parigi hanno entrambi sottolineato come una grande vittoria il fatto di aver "limitato i danni" alla propria economia nazionale a scapito dell'altra sponda del Reno. Le dichiarazioni sulla vicenda di Merkel e Chirac si potrebbero sovrapporre con esito esilarante.
I sindacati in entrambi i paesi sono, invece, di ben altro parere rispetto ai governi e hanno annunciato battaglia. In tutti gli impianti di Airbus in Germania gli oltre 20.000 lavoratori hanno sospeso spontaneamente la produzione per diverse ore. Nei tre stabilimenti colpiti l'astensione dal lavoro si è protratta per tre giorni di seguito e si è conclusa tra i fischi degli operai che hanno interrotto il discorso con cui Puttfarken tentava di illustrare "Power 8" e cercava di tranquillizzarli sul loro futuro. La linea dell'azienda non accenna, infatti, a licenziamenti, ma parla di "ricerca di acquirenti credibili e interessati a continuare la produzione in Germania". Con davanti agli occhi il recente caso del comparto della telefonia mobile di Siemens svenduto per quattro soldi alla taiwanese BenQ, che dopo meno di un anno ha chiuso e licenziato tutti, i lavoratori di Airbus sanno però di non potersi fare illusioni.
Anche se si dovesse arrivare ad uno, storico, sciopero congiunto tra i lavoratori di Airbus di Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna, come propongono in queste ore alcuni sindacalisti sulle due sponde del Reno, difficilmente l'azienda farà marcia indietro. Il consorzio europeo è infatti in perdita netta. I ritardi nella consegna dell'A380 hanno causato un passivo di quasi 5 miliardi di euro e Airbus deve recuperare il danaro e il tempo perso rispetto alla storica rivale Boeing che ha "razionalizzato" selvaggiamente tra il 2000 e il 2001.
I tagli annunciati, però, difficilmente serviranno a risollevare l'immagine compromessa di Airbus. A confermare un simile sospetto sta l'annuncio dell' americana Ups, leader mondiale nel settore dei corrieri, che a meno di 48 ore dall'ufficializzazione di "Power 8", ha ritirato l'ordine per 10 aerei A380 F, la versione cargo del "gigante dei cieli", anche questo in netto ritardo di realizzazione rispetto agli impegni presi da Airbus. La disdetta di Ups è la quarta nel giro di pochi mesi e segue quelle della Fed Ex, della società di leasing Ikfc e della compagnia di bandiera degli Emirati Arabi. Se a ciò si aggiunge lo scarso successo dell'altro modello su cui Airbus puntava moltissimo, l'avveniristico A350, si capisce che il passivo attuale è solo un assaggio di quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi e anni.
Per questo la Eads, il consorzio europeo che controlla Airbus, oltre a varare "Power 8", ha intenzione di imbarcare nuovi azionisti in grado di ricapitalizzare. Si parla, tra gli altri, dell'italiana Finmeccanica. Ma a fronte di una potenziale new entry emergono voci relative alla possibile uscita di Daimler Chrysler.
Insomma, il taglio di 10.000 posti di lavoro potrebbe essere solo l'inizio di una cura ancora più radicale e alla fine quello dei lavoratori di Varel, Laupheim e degli altri stabilimenti colpiti potrebbe rivelarsi addirittura un sacrificio inutile.


La sfida al Boeing è ormai persa

La storia di Airbus comincia nel 1970 come consorzio di imprese aeronautiche e aerospaziali francesi e tedesche a cui, negli anni a seguire, si aggiungono partner britannici e spagnoli. L'obiettivo è fin dall'inizio quello di competere con il gigante statunitense Boeing. Dall'ottobre scorso Airbus è controllata al 100 per cento dalla Eads (European Aeronautic Defence and Space Company), una piattaforma i cui principali azionisti sono gli Stati francese e spagnolo, alcuni Länder tedeschi, la Daimler Chrysler (che detiene la quota azionaria più cospicua), la francese Legardère e persino la Banca di Stato russa. Oltre che una proprietà così variegata, Airbus, per cui lavorano quasi 60.000 persone, ha anche diversi centri decisionali e una settantina di stabilimenti sparsi tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. Questo policentrismo, assieme all'annosa disputa politica tra Parigi e Berlino sul controllo dell'azienda, si è rivelato un limite serio per lo sviluppo di Airbus. L'attuale crisi deriva però anche dai molti errori concreti commessi dai top manager che hanno diretto Airbus negli ultimi anni. In particolare gli enormi ritardi accumulati nella consegna dell'A380 (il superjumbo a due piani da 800 posti che doveva vedere la luce nel 2005 e, invece, non uscirà dagli stabilimenti prima del prossimo dicembre) hanno compromesso pesantemente l'immagine internazionale del megaconsorzio europeo e causato perdite per quasi 5 miliardi di euro.
Oltre che velivoli di linea e da trasporto, Airbus produce anche aerei militari, come l'A400M, per committenti europei e non.   

Pubblicato il

09.03.2007 04:00
Tommaso Pedicini