Sud Africa, la città del calcio e la sua periferia

Il capo supremo del calcio mondiale, Joseph Blatter, l'aveva promesso un anno fa: si sarebbe impegnato per garantire condizioni di lavoro dignitose sui cantieri della Coppa del mondo di calcio in Sud Africa. Ha mantenuto la parola? Unia e Soccorso operaio svizzero (Sos) sono andati sul posto a verificare.

Ha la forma di una zucca. Una gigantesca zucca. È Soccer City, alla periferia sudoccidentale di Johannesburg. Con i suoi 94 mila 700 posti a sedere è lo stadio più grande di tutto il continente africano. È qui che l'11 luglio 2010 si disputerà la finale della Coppa del mondo di calcio.
Su in cima, sul bordo arrotondato del tetto, si arrampicano diversi operai. Una gru solleva nell'aria un elemento metallico di diverse tonnellate di peso. Hansueli Scheidegger del sindacato Unia si fa ombra con la mano per proteggere gli occhi dalla luce intensa a cui non è abituato. Assieme a Vasco Pedrina che rappresenta l'Internazionale dei lavoratori dell'edilizia e del legno (Iel) e a Joachim Merz del Soccorso operaio svizzero (Sos), Scheidegger è andato in Sud Africa per farsi un'idea delle condizioni di lavoro sui cantieri dei mondiali.
La delegazione svizzera è chiaramente impressionata dalla dimensione dello stadio, che viene totalmente rifatto. «Oltre 2 mila lavoratori, si fa fatica ad immaginarselo», dice Scheidegger. E tutti, aggiunge, sono coscienti di quanto pericoloso sia il loro lavoro. «Hai notato anche tu che tutti indossano il casco?», chiede a Pedrina. «Ti ricordi quanto abbiamo dovuto lottare in Svizzera fino a quando il casco sui cantieri non è diventato obbligatorio?».

La Fifa: va tutto per il meglio

Soccer City è il primo cantiere dei mondiali che viene visitato dalla delegazione sindacale svizzera. Prima però loro e i loro colleghi sudafricani avevano dovuto sopportare una lunga cerimonia di saluto nella casa Saffa, la sede locale della Fifa. In una elegante sala conferenze il capo della sicurezza gli aveva spiegato che gli stadi saranno completati per tempo. E che malgrado la pressione per rispettare i tempi di consegna ci sono stati pochissimi incidenti sui cantieri. Poi era seguito un video con africani che ballano e vedute mozzafiato. Quindi l'attesa che arrivasse Danny Jordan, il Ceo del Comitato d'organizzazione. Quando finalmente è arrivato, subito è stato chiarito: le domande non sono gradite. La sua comparsa s'è limitata ad un paio di strette di mano obbligate e all'annuncio dei successi dei funzionari del pallone: 700 mila biglietti sarebbero già stati venduti, non solo, già oggi sarebbe chiaro che le entrate della Fifa in Sud Africa saranno maggiori di quelle realizzate con i mondiali tedeschi del 2006. – La delegazione svizzera è delusa. Sarebbe stato carino se Jordan avesse dimostrato un po' più di interesse per la loro causa, dice Merz.
Sul cantiere c'è ancora il discorso del capo degli ispettori dell'impresa di costruzioni. Nessuno deve lasciare il gruppo, nessuno deve appoggiarsi alle balaustre, dice. Poco a poco i sindacalisti svizzeri diventano impazienti. Hanno già dovuto aspettare troppo tempo, adesso gli rimane ancora soltanto mezz'ora per guardarsi attorno e per parlare con le lavoratrici e i lavoratori delle condizioni presenti sul cantiere. Qui non c'è ancora stato nessuno sciopero, dice loro un fiduciario sindacale. Il commento di Pedrina: «sicuramente è anche perché con l'impresario, una ditta olandese, abbiamo potuto concludere un contratto di validità internazionale per il rispetto di certi standard minimi».

Sempre più operai nel sindacato

Mentre Pedrina avanza fra le pozze per dirigersi verso l'interno dello stadio racconta dei primi successi della campagna sindacale internazionale "Fair Games – Fair Play", lanciata un paio d'anni fa (cfr. articolo sotto). Il grado di organizzazione sindacale sui cantieri ad esempio è passato dal 10 al 35 per cento. Oppure: su un cantiere a Durban gli operai con uno sciopero hanno ottenuto il versamento di salari arretrati per un ammontare di diverse mensilità. O ancora: i sindacati sono riusciti ad ottenere delle indennità di trasporto per tutti gli impiegati, un progresso notevole tenuto conto degli stipendi molto bassi.
Uno degli accompagnatori sudafricani della delegazione svizzera è Crosby Mony, del sindacato dei lavoratori delle miniere (Num) al quale aderiscono anche degli edili. Mony dà ragione a Pedrina: «Questa campagna internazionale ci è stata molto di aiuto quando si è trattato di richiamare alle loro responsabilità quelle imprese di costruzione che volevano sottrarsi ai loro obblighi sociali».
Come stiamo con gli stipendi? Joe Diamini, addetto alla miscelatura del cemento, informa che «guadagniamo in media 14 rand (cioè 1 franco e 70) all'ora». Fanno circa 2 mila 500 rand (ossia 300 franchi) al mese. «Con quel che guadagniamo arriviamo a stento a fine mese, ma è sempre meglio che essere disoccupati». La soglia di povertà è calcolata in circa 4 mila rand al mese. Un collega di Diamini ha ascoltato e interviene: «sono soprattutto le ditte che lavorano in subappalto che fanno ancora più pressione sui salari». Un sindacalista sudafricano annuisce. Circa i due terzi delle lavoratrici e dei lavoratori, dice, non guadagnano nemmeno il salario minimo legale di 2 mila 500 rand. C'è anche pressione sui ritmi di lavoro perché siano rispettati i tempi? No, questo no, dice Diamini. La tabella di marcia è rispettata. «Certo, di tanto in tanto ci tocca anche lavorare nel week end. Ma in questo caso siamo pagati il doppio».

A casa di Portia Mkhize

La trentatreenne Portia Mkhize è una delle 40 donne che lavorano sul cantiere. È responsabile della sicurezza dei suoi colleghi e verifica ad esempio che tutti portino il casco e che siano informati suoi nuovi potenziali pericoli. «Mi piace il mio lavoro», dice. È una donna carina. «All'inizio avevo ancora un po' paura di questo mondo tutto al maschile. Non ero sicura di essere all'altezza delle dure esigenze di un cantiere». Ma poi s'è ambientata in fretta. Oggi, dice, gli uomini la prendono sul serio e ci si tratta con rispetto.
Nel complesso l'impressione è buona, dicono i sindacalisti svizzeri al termine della visita dello stadio. A parte gli stipendi: «2 mila 400 rand (300 franchi) è sempre e ancora inaccettabile», dice Merz del Sos. «I sindacati sudafricani chiedono un salario minimo di 500 franchi. E su questo punto li dobbiamo aiutare».
Prima di lasciare Johannesburg in direzione di Città del Capo e Durban, la delegazione svizzera si immerge ancora nel mondo che vive nei dintorni dello stadio: è l'intricato mondo di Soweto, la città a sud-ovest della metropoli in cui vivono due milioni di neri poveri. Soweto è sinonimo di miseria e disoccupazione, ma anche di orgoglio nero, di resistenza e di liberazione dal regime della minoranza bianca.
I sindacalisti vogliono passare a visitare Portia Mkhize, che hanno conosciuto il giorno prima. Lei vive con i suoi tre figli, che fa crescere da sola, in una baracca di lamiera costruita sul terreno di sua mamma. Un locale minuscolo, nessuna protezione dal freddo dell'inverno o dalla canicola estiva, un letto, un armadio, un televisore, un frigorifero. In tutto sono 20 i parenti che vivono sullo stesso terreno. Condividono un rubinetto e una toilette. Gli uomini giovani sono disoccupati e passano le loro giornate ad ubriacarsi, le donne come Portia guadagnano i soldi.
Il lavoro a Soccer City ha cambiato la sua vita, dice Portia. «Dopo la scuola ho lavorato come domestica, per 1'500 rand (meno di 200 franchi) al mese. Allo stadio sono stata scelta fra migliaia di concorrenti. Ho ricevuto una formazione di diverse settimane quale ispettrice della sicurezza. Forse questo mi aiuterà a trovare un nuovo lavoro quando lo stadio sarà finito. Se le cose andranno meglio? Non lo so. Trovare un lavoro è molto difficile».
A Città del Capo e a Durban le ispezioni non filano via così lisce come a Johannesburg. A Città del Capo i sindacalisti non hanno nemmeno accesso allo stadio. Pedrina è indignato: «la Fifa ci aveva garantito le ispezioni. Che un'impresa non rispetti quanto concordato è inaccettabile. Aumenteremo la nostra pressione sulla Fifa».
Anche a Durban, l'ultimo stadio del loro viaggio, in un primo tempo l'accesso al cantiere è rifiutato. Ma qui i sindacati sudafricani sono molto più forti che a Città del Capo. Più della metà degli operai è organizzata sindacalmente. Nel giro di un paio d'ore i fiduciari mobilitano i colleghi per uno sciopero d'avvertimento. Cosa che induce infine il management ad aprire le porte del cantiere alla delegazione sindacale svizzera.

Pubblicato il

10.04.2009 02:30
Cristina Karrer
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