«Questo non è un referendum pro o contro la politica finanziaria e fiscale di governo e parlamento, ancor meno un plebiscito su Marina Masoni». Da alcuni giorni il presidente del Partito liberale radicale ticinese Giovanni Merlini non fa che ripetere questo ritornello, in crescente affanno in vista dell’appuntamento cantonale con le urne del 12 marzo sul referendum “Sos Sanità, Socialità e Scuola”. «Dobbiamo concentrarci sulla domanda della scheda», aggiunge Merlini. Bene, il decreto su cui si tratta di dire sì o no il 12 marzo blocca allo 0,5 per cento all’anno, nel 2006 e nel 2007, l’aumento dei sussidi statali a enti e associazioni attivi per lo più in ambito sociale e scolastico. Fanno, in soldoni, 14 milioni per quest’anno (l’equivalente del patrimonio della fondazione Villalta…) e 25 milioni per l’anno prossimo. Già questo è un motivo sufficiente per opporsi a tale decreto: al ritmo odierno di crescita dei bisogni una limitazione dell’aumento dei contributi inferiore al tasso d’inflazione equivale ad un taglio secco nelle prestazioni per i cittadini, in particolare per quelli che più hanno bisogno dell’intervento dello Stato nel suo ruolo di regolatore delle disparità. Se poi questo avviene nell’ambito di una manovra finanziaria unilaterale, che non intervenendo sul fronte delle entrate pesa unicamente sulle spalle di chi è più di altri nella condizione di aver bisogno dell’aiuto pubblico, l’iniquità del decreto appare ancora più evidente. Ma decisamente mal messo Merlini lo è anche quando pretende che i ticinesi votando il 12 marzo non pensino né al fiscogate né alla politica finanziaria e fiscale condotta in Ticino nell’ultimo decennio. Intanto perché il decreto su cui si vota è figlio legittimo di quella politica, e pretendere di farne astrazione è evidentemente assurdo. Quanto al fiscogate, come fanno i ticinesi a non mettere in relazione i sacrifici che si chiede loro di fare per risanare le casse del cantone con i privilegi che chi può s’è ritagliato per non dover condividere quei sacrifici, avendo oltretutto voluto o sostenuto quella politica fiscale che oggi ci ha posto nell’emergenza finanziaria? Di tutto questo s’è resa conto perfino Marina Masoni, che infatti pretende di non esporsi in questa campagna referendaria e chiede che siano i suoi colleghi di governo Gabriele Gendotti e Patrizia Pesenti a difendere pubblicamente il decreto tagliasussidi. Come se le finanze non fossero di sua competenza. Vero è invece che il 12 marzo non si vota né sulla disastrosa conduzione della Divisione delle contribuzioni (cfr. la nostra inchiesta nello scorso numero di area e a pag. 9 di questa edizione), né sull’evanescente rilancio economico del cantone, né sulla cabarettistica gestione Stinca di Ticino Turismo. Ma come pretendere che i ticinesi non pensino anche a questi esiti del liberismo in salsa masoniana quando fra tre settimane metteranno nell’urna una scheda che chiede loro di condividere una politica finanziaria così fortemente voluta da Marina Masoni, dandole ancora una volta fiducia?

Pubblicato il 

17.02.06

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