Stress da banca

Lavoro in banca, lavoro sicuro? Sembra proprio di no invece. Gli impiegati di banca sono stressati, hanno paura di perdere il posto di lavoro, non possono contare sul sostegno di colleghi e superiori, dormono male e consumano medicinali per stare meglio. Lo dice una ricerca dell’Ufficio di statistica del canton Ticino (Ustat) che mette a confronto i bancari con gli altri lavoratori dipendenti. «Nuovi rischi», con questo termine generico i ricercatori chiamano le malattie da lavoro finora poco studiate. Si tratta di danni sia alla salute fisica che mentale dei lavoratori. Mali da lavoro che sfuggono in gran parte alle statistiche perché non appaiono come malattie professionali ai sensi della legge. E mica bruscolini, i costi stimati per la Svizzera – ammette lo stesso Consiglio federale – si situano fra i 6 e i 12 miliardi di franchi all’anno (vedi area n. 51 del 19 dicembre 2003). Ma chi se lo aspettava che fra i “grandi malati” spiccassero proprio i bancari? Ben pagati e tranquilli nel loro ufficio, si pensa di solito. Un lavoro sicuro, quello del “colletto bianco”, a cui ambire hanno sempre detto i genitori ai figli. Eppure l’Ustat, prendendo in considerazione un campione di 859 lavoratori dipendenti e mettendolo a confronto con un altro composto da 428 impiegati del settore bancario – membri dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (Asib) –, fa notare che le cose non stanno affatto così. Tutt’altro. Il confronto tra i lavoratori dipendenti ticinesi e i bancari Asib mostra come il grado di soddisfazione e le opportunità di realizzarsi tramite il lavoro siano sensibilmente maggiori al di fuori del settore bancario e questo nonostante che gli stipendi in questo campo siano generalmente più elevati. Una semplice occhiata alle tabelle in pagina aiuta a farsi un’idea delle pressioni subite dai bancari sul posto di lavoro. Mentre il 42,2 per cento degli 859 impiegati intervistati si dichiara «completamente soddisfatto» sul lavoro, la percentuale di soddisfazione fra i 428 bancari interpellati scende al 16,2 per cento. Come dire che 5 bancari su 6 non si ritengono realizzati nel proprio mestiere. Ma i malumori non si esauriscono qui. Lavorano in maniera più febbrile degli altri lavoratori dipendenti, sul piano psicologico sentono un maggior peso, hanno un minor sostegno da parte di colleghi e superiori. Sette bancari su 10 sentono «insicurezza verso il futuro» e 4 su 10 hanno paura di perdere il posto di lavoro (dati presenti nella ricerca ma non nelle tabelle). Timori e ansie da lavoro che si ripercuotono puntualmente sugli indicatori di salute. Ed anche in questo caso si può notare come i bancari denuncino pressoché costantemente una prevalenza superiore – e statisticamente significativa – sia per quanto attiene alle condizioni sanitarie negative come pure per i consumi. Risultano più stressati, sono fisicamente più colpiti e ingeriscono un maggior quantitativo di farmaci dei loro colleghi che lavorano nei servizi. Ben 7 bancari su 10 dichiarano di avere disturbi del sonno. In definitiva un quadro tutt’altro che idilliaco quello del lavoro in banca. E le prospettive per il futuro non sembrano delle migliori: un recente studio del professor Bernet dell’Università di San Gallo ipotizza per i prossimi sette anni la perdita di 40 mila posti di lavoro nel settore bancario elvetico. In Ticino i bancari sono all’incirca 7 mila 500. Prospettive da brivido quindi. Ma cosa ne pensa chi lavora nell’ambiente? Area ha interpellato Alberto Cotti, attuale responsabile delle risorse umane presso BancaStato (in precedenza lo è stato per 13 anni ad Ubs) ed Eros Pastore segretario per il Ticino dell’Asib (l’associazione di impiegati di banca dal quale i ricercatori hanno estratto il campione preso in considerazione). Alberto Cotti, lei è a capo del personale della BancaStato. Da una recente ricerca sullo stress e sull’insicurezza sul lavoro risulta che gli impiegati bancari sono particolarmente a disagio nella loro professione. Condivide questa interpretazione? Il campione oggetto della ricerca è molto particolare (bancari Asib, vedi articolo sopra, ndr) e dunque devo attenuare l’importanza del disagio. Il settore terziario bancario si è profondamente trasformato nell’ultimo decennio e come in ogni professione le esigenze sono sicuramente accresciute: dunque non sorprende che l’insicurezza e lo stress (positivo e negativo) siano tendenzialmente in aumento. Le banche sono comunque attente al problema e su questi aspetti si lavora in corsi e seminari di conduzione. Nessuno ha interesse ad aumentare lo stress negativo, questo è certo. I risultati dello studio sono chiari: per i bancari la pressione sul lavoro è aumentata nell’ultimo anno e, per rapporto agli altri lavoratori dipendenti, sono più stressati, hanno più paura degli altri di perdere l’impiego e assumono più medicine per stare bene. L’associazione svizzera degli impiegati bancari è categorica nel definire la banca di oggi come un «ambiente malsano». Sono solo facili allarmismi? Non credo che la banca sia oggi un ambiente malsano, ma certamente è un luogo di lavoro dove le esigenze in termini di professionalità, rigore e competenza sono probabilmente più elevate che non in altri settori. Di conseguenza la pressione può essere più alta che non in altri contesti lavorativi, ma comunque non tale da giustificare allarmismi esagerati. D’altra parte fusioni, ristrutturazioni, rientri di capitale nei paesi d’origine – vedi Tremonti 1 e 2 – e voci di vendita di istituti non possono che creare insicurezza, questo è certo. Dopo la bolla speculativa della “new economy” le banche hanno effettuato ristrutturazioni con parecchi licenziamenti. Ora i lavoratori si trovano a pagare gli errori di una strategia di mercato che si è rivelata perdente. Ci sono delle colpe da attribuire? Non si può parlare di strategia perdente, visti gli utili da record che si verificano un po’ ovunque. Le banche hanno dovuto riposizionarsi sul mercato, tenendo conto della globalizzazione in corso e degli sviluppi tecnologici, veramente importanti. Non l’avessero fatto per tempo, le conseguenze sarebbero state certamente più gravi. Utili record delle banche nel 2003 ma pare che nei prossimi anni ci saranno altri licenziamenti, si dice addirittura 40 mila... Non so se ci saranno ancora licenziamenti, ma so che se le aziende svizzere vorranno rimanere competitive sul mercato globale, le ristrutturazioni, le fusioni, i riassetti non sono certo finiti oggi. A mio modo di vedere la ricerca di un equilibrio tra esigenze aziendali, tra pretese dell’azionista in termini di risultato e dimensione sociale è uno dei problemi centrali dello sviluppo attuale e futuro del terziario avanzato. Politici, azionisti, manager e operatori dovranno riflettere seriamente sul problema, perché veramente importante e potenzialmente esplosivo. Sicuramente esistono limiti alla crescita, dettati dalla responsabilità sociale delle aziende. Come è l’ambiente di lavoro all’interno di BancaStato? L’ambiente di lavoro in BancaStato è quello tipico di una fase di cambiamento: si lavora molto e con motivazione per adattare la struttura e il servizio al cliente alle nuove esigenze. Ma siamo anche disturbati, sicuramente più di ogni altra banca, dalle costanti polemiche e attacchi nei media, spesso fuori luogo e assolutamente ingiustificati. Eros Pastore, uno studio dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat) mostra che il clima di lavoro per i bancari è peggiore che per gli altri lavoratori dipendenti (vedi articolo sopra). L’Associazione svizzera degli impiegati di banca (Asib) di cui lei è presidente della sezione Ticino è sorpresa dai risultati? Direi proprio di no. Sono ormai 10 anni che le condizioni lavorative nella banca sono andate peggiorando. La banca è ormai diventata un ambiente malsano, non è più il posto sicuro a cui ambire. Le faccio un esempio: solo a partire dal 2000 sono più di 300 i bancari che si sono rivolti all’Asib a causa di licenziamenti o disagi. Perché le condizioni sono peggiorate a suo parere? Si chiede sempre di più alla gente e in questi ultimi decenni il lavoro in banca è radicalmente cambiato. La tecnologia ha preso l’avvento e il 50enne che non si adatta viene buttato fuori senza troppi scrupoli. C’è un’altra cosa da aggiungere, i direttori sono sempre più interessati a far contenti gli azionisti con i dividendi piuttosto che i lavoratori. Vada a vedere gli utili record registrati dalle banche nel 2003. I direttori di oggi, non tutti ma molti, pensano ai soldi e l’umanità la lasciano in un angolino della mente. Tagliare oggi per restare competitivi domani, discorsi privi di umanità. Piuttosto che parlare di “risorse umane” all’interno delle banche proporrei di sostituirlo con il più realistico “disgrazie umane”. Rende molto di più l’idea. Alberto Cotti della BancaStato ci ha detto che lo studio dell’Ustat è da prendere con le molle perché sono stati intervistati unicamente bancari membri dell’Asib. È d’accordo con questa interpretazione? Per nulla! Reputo ridicolo il tentativo di sminuire i risultati. Le pressioni sul lavoro per gli impiegati di banca di molti istituti sono insopportabili, non si può negarlo. I membri Asib lavorano in banca come gli altri e non vedo perché non dovrebbero riflettere il clima di lavoro del settore. Inoltre vorrei ricordare che tra gli intervistati non c’erano solo impiegati dei piani bassi. Tredici di loro erano direttori, 129 procuratori, 52 mandatari e 138 impiegati. Quando si parla di problemi del lavoro all’interno degli istituti bancari cala sempre l’omertà. Sono pochi quelli che osano tirare fuori il naso, sintomo preoccupante che la dice lunga sullo stato delle cose. Non trova? Perché i bancari non vogliono parlare apertamente dei loro problemi? Altro che la Barbagia in Sardegna! Non osano parlare perché altrimenti sono fuori dal settore bancario. Ci sono i lunghi coltelli in questo campo. La banca è il regno del “mors tua vita mea”. Ma si sta davvero così male in tutti gli istituti bancari? Non tutti, ci sono alcuni che sono più attenti degli altri. Ma comunque la situazione è in generale peggiorata. Guardi, queste sono le lettere che mi arrivano tutti i giorni. Da 120 ore di interventi a favore dei nostri membri nel 2000 siamo passati a 327 nel 2003. Gente disperata che viene messa alla porta, magari dopo 30 anni di lavoro. Molti istituti non vogliono più insegnare un mestiere ma cavare fuori dal lavoratore quello che può dare. Posso citarle una marea di casi in cui ci sono stati chiari abusi. Quali sono le banche più “cattive”? Non me la sento di fare una classifica dal più buono al più cattivo. Consiglierebbe ad un giovane di entrare a lavorare in banca? Nella banca del giorno d’oggi direi proprio di no.

Pubblicato il

18.06.2004 01:30
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