Stranieri, brutto compromesso

Quando tre anni fa si iniziò a pensare di riformare la legislazione vigente in tema di immigrazione e integrazione, tutte le forze politiche tedesche parlarono di “occasione storica”. Sia la maggioranza rosso-verde che l’opposizione conservatrice misero al lavoro i propri esperti per elaborare proposte il più possibile articolate e funzionali ai rispettivi interessi. Della frenesia di quei giorni oggi rimane ben poco. In queste settimane decisive per l’approvazione della nuova “Zuwanderungsgesetz” sono in molti quelli che si accontenterebbero anche solo di una “leggina”, pur di evitare il fallimento completo. Il disegno di legge governativo sull’immigrazione, approvato dal Bundestag, ma respinto dal Bundesrat (la Camera delle regioni dove i cristianodemocratici detengono la maggioranza), è ora, infatti, al vaglio della commissione di conciliazione dei due rami del Parlamento, cui spetta il difficile compito di individuare una soluzione che soddisfi tutto l’arco costituzionale. La riforma elaborata dal ministro degli Interni, Otto Schily, non brilla certo per modernità, anzi, per alcuni versi, è addirittura peggiorativa rispetto alla legge attuale. Pesanti i limiti ai ricongiungimenti familiari e oltremodo cinica la divisione dei lavoratori stranieri in giovani e anziani, qualificati e non. Eppure, a sentire la Cdu, il progetto di Schily metterebbe a repentaglio, oltre che la sicurezza nazionale, anche l’identità culturale tedesca, aprendo le porte a milioni di nuovi immigrati. Gli aspetti più controversi della legge riguardano l’afflusso di manodopera straniera qualificata, che Spd e Verdi vorrebbero regolare con quote annue e che la Cdu, invece, rifiuta, preferendo il vecchio sistema dei permessi di soggiorno a tempo determinato, e i criteri di concessione dell’asilo politico. La Germania è, al momento, l’unico membro dell’Unione europea ad applicare un’interpretazione estremamente restrittiva della Convenzione di Ginevra sui profughi, concedendo asilo solo a chi può dimostrare di essere perseguitato da un’autorità statale. Chi fugge da un Paese dilaniato da una guerra civile, come la Somalia, o solo nominalmente pacificato, come l’Afghanistan o l’Iraq, non ha alcuna speranza di essere accolto nella Repubblica federale. Stessa sorte anche per le ragazze che fuggono dalla loro terra per sottrarsi all’infibulazione. La riforma di Schily metterebbe fine a questa anomalia e permetterebbe all’Unione europea di assumere, da subito, una posizione comune in materia, ma su questo punto l’opposizione conservatrice sembra irremovibile. Piuttosto che sottoscrivere una cattiva legge, frutto di un pessimo compromesso, e del rischio che, oltretutto, la Cdu strumentalizzi la discussione per mietere consensi tra l’elettorato xenofobo, qualcuno, soprattutto tra i Verdi e tra le associazioni per i diritti umani, comincia a pensare che, a conti fatti, la cosa migliore sia mantenere la legislazione vigente e rinunciare alla nuova Zuwanderungsgesetz. Ad una riforma del diritto d’asilo si potrebbe giungere, comunque, tra qualche anno per via europea. È una città invisibile, i cui abitanti lavorano, mettono al mondo figli, si ammalano, muoiono e tutto avviene in silenzio, lontano dalla luce del sole. Secondo uno studio sull’immigrazione clandestina commissionato dal Comune di Monaco di Baviera e presentato nei giorni scorsi, sono almeno 50.000 gli stranieri senza permesso di soggiorno che vivono in città. Ma il loro numero potrebbe essere molto più elevato. A livello federale stime approsimative parlano di un milione di clandestini. Prima tra le amministrazioni delle grandi città tedesche, quella di Monaco nel 2001 decise di indagare a fondo sul fenomeno degli immigrati irregolari. La ricerca, condotta per due anni da un team di esperti sulla base di interviste anonime ai diretti interessati e di colloqui con gli operatori sociali, ha portato a risultati sconcertanti. Se diverse sono le cause che conducono all’illegalità (dai visti scaduti, ai ricongiungimenti familiari, all’asilo negato), comuni sono le condizioni di vita dei clandestini, sfruttati dai datori di lavoro, ammassati in alloggi costosi ma fatiscenti, senza assistenza medica e privati del diritto all’istruzione per i propri figli. Gli abitanti di questa città invisibile lavorano, per lo più, nel settore edilizio, nelle imprese di pulizie, nella ristorazione e nell’assistenza domestica. Per sopravvivere di solito si organizzano in reti di assistenza reciproca, facendo affidamento su connazionali coi documenti in regola che accettano di coprirli e aiutarli. Alla luce di quanto contenuto nello studio presentato dal Comune di Monaco, ora sarebbe compito del mondo politico fornire delle risposte concrete al fenomeno della clandestinità. Secondo Siegfrid Benker, consigliere comunale dei Verdi e promotore della ricerca, già a livello cittadino c’è spazio per intervenire. «Un Comune – spiega Benker - non può fare moltissimo, visto che la clandestinità per la legge è un reato. Ci sono però dei diritti umani inalienabili come quello alla salute o all’istruzione per i giovani. E questi diritti vanno fatti valere per tutti. Alla luce di questa contraddizione il Comune può cercare di aiutare i clandestini e le loro famiglie. A bambini e ragazzi privi di permesso di soggiorno deve essere resa possibile la frequenza a scuola senza il pericolo di essere denunciati, chi è malato deve potersi curare senza timore di venire scoperto e le donne incinte devono essere messe in condizione di poter partorire in strutture adeguate, garantendo loro l’anonimato. Questi servizi essenziali un Comune li può e li deve fornire». I problemi nascono, però, dal fatto che la polizia e le autorità regionali e federali continuano ad affrontare la clandestinità unicamente nell’ottica dell’ordine pubblico, accomunando i clandestini ai delinquenti comuni. A guardare i recenti sviluppi delle politiche migratorie in Germania, Benker è molto scettico rispetto a un miglioramento delle condizioni di vita degli immigrati irregolari in Germania. Nel testo della nuova legge sull’immigrazione a loro non si fa alcun accenno. Anche una sanatoria sul modello italiano o un movimento di rivendicazione dei propri diritti da parte dei clandestini, come è avvenuto in Francia, non sembrano, per il momento, strade percorribili. Solo l’impegno delle amministrazioni comunali e le loro pressioni sul governo federale, conclude Benker, possono aiutare a far uscire dall’ombra gli abitanti delle città invisibili.

Pubblicato il

09.01.2004 03:00
Tommaso Pedicini