Stop alle provocazioni

“Re Pascal Primo innervosisce la repubblica”. Il titolo su due pagine del Tages-Anzeiger ben riassumeva giorni fa l’arroganza del consigliere federale Pascal Couchepin, e l’accoglienza poco favorevole incontrata dalle sue recenti dichiarazioni presso tutte le forze politiche, eccetto che nel suo partito, il Plr. In effetti, più della sostanza delle sue proposte di politica sociale – che sembrano generalmente condivise dai partiti borghesi, e non sono né nuove né originali – irrita il suo stile: questo fare politica in modo superficiale, sparandole grosse in interviste e conferenze stampa, senza dimostrare né particolare sensibilità politica e sociale, né approfondita conoscenza dei dossier. Questo tatticismo grossolano, che tende a creare allarmismo per raccogliere un consenso scontato e parziale, non può piacere a chi prende sul serio e in modo responsabile il futuro dello stato sociale e del benessere della popolazione. Vasco Pedrina, presidente del Sindacato edilizia e industria, ha giustamente definito «inaccettabile» lo stile del ministro dell’interno, e le sue proposte «una provocazione». Quest’ultime possono riassumersi in tre precise indicazioni: aumento dell’età del pensionamento a 67 anni, riduzione delle rendite Avs mediante la soppressione dell’indice misto, taglio delle rendite del secondo pilastro. Ma se le prime due proposte possono essere viste come un modo legittimo, sebbene in funzione preelettorale e fuori tempo, di lanciare la discussione in vista dell’undicesima revisione dell’Avs, l’attacco al secondo pilastro appare in questo momento molto più pericoloso, perché traducibile quasi subito in provvedimenti esecutivi. In ogni caso, l’Unione sindacale svizzera (Uss) ha raccolto la sfida ed ha formulato con chiarezza la sua risposta alla crisi delle casse pensioni ed agli attacchi contro l’Avs. Al di là delle puntuali repliche alle proposte di risanamento dello scoperto delle casse pensioni (21 maggio), d’innalzamento a 67 anni dell’età di pensionamento (26 maggio) e di riduzione al 2 per cento del tasso minimo sui capitali del secondo pilastro, la posizione dell’Uss appare già delineata nel documento scritto a quattro mani da Serge Gaillard e Colette Nova, e presentato all’Assemblea dei delegati del 5 maggio scorso. Innanzitutto – rilevano i due sindacalisti – per la previdenza di vecchiaia il sistema fondato sulla solidarietà (Avs) è migliore di quello basato sulla capitalizzazione (casse pensioni). Per 20 anni s’è rimproverato all’Avs la sua instabilità finanziaria. Ma, a dispetto dell’invecchiamento della popolazione, le quote versate all’Avs sono rimaste stabili negli ultimi 25 anni, a parte un leggero aumento dell’Iva (imposta sul valore aggiunto). E anche se intorno all’anno 2010 si dovrà ricorrere ad un punto percentuale d’Iva per compensare la crescente longevità degli anziani, «l’Avs resterà una forma vantaggiosa di previdenza a confronto del secondo pilastro». Dunque, il sistema di solidarietà è migliore di quello a capitalizzazione, poiché «esso permette di conseguire più efficacemente gli obiettivi della politica sociale, reagisce in modo flessibile all’evoluzione dei bisogni, non dipende dagli umori dei mercati finanziari e le sue spese amministrative sono più ridotte di quelle del secondo pilastro». La combinazione dei due sistemi permette tuttavia di far fronte ai diversi rischi che minacciano la previdenza di vecchiaia, in particolare a quello rappresentato dalle politiche economiche che generano disoccupazione o quando la popolazione attiva diminuisce. Inoltre, la perdita d’importanza della rendita Avs rispetto a quanto possono assicurare il secondo e il terzo pilastro, va corretta sia con la tredicesima mensilità, sia con il mantenimento dell’indice misto che lega l’aumento delle rendite, oltre che al carovita, anche all’evoluzione reale dei salari. Proposte poco ponderate «Attualmente – scrivono a questo proposito Gaillard e Nova – non è l’evoluzione demografica che minaccia l’Avs, ma le proposte poco ponderate del Consiglio federale». Una di queste proposte è quella dell’abolizione dell’indice misto, sganciando le rendite dall’indice di evoluzione dei salari. Se non ci fosse stato questo meccanismo negli ultimi 25 anni, oggi la rendita semplice mensile sarebbe di 222 franchi più bassa e quella di coppia di 333 franchi. L’Uss lotterà contro questa soppressione con tutti i mezzi, compreso il referendum. Quanto alla previdenza professionale, nell’ultimo decennio il secondo pilastro ha approfittato di condizioni economiche più favorevoli. Grazie agli straordinari progressi delle borse mondiali, i capitali delle casse pensioni sono stati molto meglio remunerati che negli anni Settanta e Ottanta. La successiva crisi borsistica ha poi distrutto l’illusione che il capitale possa fruttare indipendentemente dall’economia reale. E il rendimento degli investimenti finanziari è stato limitato dalla riduzione degli interessi «operata, com’è desiderabile, per favorire l’occupazione». L’Uss s’è dapprima opposta all’abbassamento del tasso d’interesse minimo sugli averi di vecchiaia del secondo pilastro, sia perché questo tasso era rimasto troppo basso per oltre 10 anni, sia perché il Consiglio federale non aveva fissato, prima di prendere questa decisione, regole obiettive che consentissero di rialzare il tasso quando i rendimenti finanziari fossero migliorati. Nell’annunciare la messa in consultazione della sua proposta di portare al 2 per cento il tasso minimo, il Consiglio federale questa volta ha rispettato le regole richieste dall’Uss: consultazione delle commissioni parlamentari per la sicurezza sociale e delle parti sociali, tenuta in considerazione dei rendimenti delle obbligazioni della Confederazione, disponibilità di dati sufficientemente completi e trasparenti sulla situazione finanziaria delle casse pensioni. E questo spiega perché l’Uss non si è opposta preventivamente a questa manovra e si è detta pronta a discuterne. Ciò che invece i sindacati e tutta la sinistra contestano, è l’allarmismo creato attorno all’insufficiente copertura di alcune casse pensioni rispetto ai propri obblighi verso gli assicurati. Insolvibilità delle casse: mito e realtà Secondo Serge Gaillard e Colette Nova, «le prestazioni non sono in pericolo, almeno fino ad un certo livello di salario. Le rendite attuali sono garantite; soltanto i diritti futuri degli assicurati attivi non sono più interamente coperti in alcune casse pensioni. La dimensione della sottocopertura non minaccia né il secondo pilastro, né le rendite: le casse pensioni hanno una lunga prospettiva di investimenti e di prestazioni, e misure di risanamento permettono di riassorbire lo scoperto». E se, malgrado tutto, dovessero verificarsi casi d’insolvibilità, le prestazioni sarebbero garantite dal Fondo di garanzia Lpp per salari fino al 150 per cento del limite massimo Lpp (attualmente 111’240.- franchi). D’altronde, finora non è stato registrato nessun caso d’insolvibilità dovuto alla caduta della borsa o a perdite sui titoli. «Non è quindi giustificato parlare di smantellamento delle prestazioni finché l’interesse sugli averi di vecchiaia supera sia l’aumento dei salari che l’inflazione, e viene fissato in rapporto al rendimento degli investimenti». Referendum e proteste massicce Attenzione quindi – sembrano dire i due sindacalisti – a distinguere tra l’allarmismo ingiustificato, diffuso ad arte in funzione politica o elettoralistica, e quello che è un reale attacco allo stato sociale, volto a demolire i diritti previdenziali acquisiti. Ciò significa non confondere l’abbassamento del tasso d’interesse Lpp, sostanzialmente giusto, ed il risanamento degli scoperti delle casse pensioni che vada a gravare sulle rendite per le quali i pensionati hanno pagato i contributi loro richiesti. E significa che l’Uss – come ha deciso l’Assemblea dei delegati del 5 maggio – combatterà immediatamente con il referendum la decisione di sopprimere l’indice misto Avs e farà ricorso ad un’ampia mobilitazione contro ogni attacco all’assicurazione vecchiaia. Anche il presidente del Sindacato edilizia e industria Vasco Pedrina l’ha confermato: «Se queste aggressioni all’Avs e al secondo pilastro si moltiplicano, e si conferma la linea di Couchepin, saremo obbligati a rispondere con azioni di protesta massicce. Anche fino allo sciopero». Smantellamento sociale, Couchepin tira dritto Ma Pascal Couchepin sa leggere? Non è la prima volta che una domanda del genere, chiaramente provocatoria, viene formulata sul ministro dell’interno. Già durante la campagna sull’iniziativa popolare “La salute a prezzi accessibili”, il consigliere nazionale socialista Franco Cavalli aveva rimproverato a Couchepin di «raccontare fandonie» sui contenuti della stessa iniziativa senza neppure averne letto bene il testo. Insinuazioni sulla scarsa conoscenza che il consigliere federale vallesano ha dei dossier affidatigli, sono ormai consuetudine tra i giornalisti che si occupano di politica federale. Ora la questione viene risollevata in un comunicato dell’Uss diffuso il 26 maggio, in occasione dell’incontro con i giornalisti all’isola Saint-Pierre, sul lago di Bienne, nel corso del quale Couchepin ha presentato ai media il suo programma che, se realizzato, «consisterebbe in uno smantellamento radicale della sicurezza sociale in Svizzera». Ebbene, tale programma era accompagnato da alcuni studi dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas), che vanno esattamente nella direzione contraria a quella tracciata dal programma di Couchepin. Da qui la domanda se il ministro abbia almeno letto i rapporti dei suoi esperti. Premesso che la sua intenzione di sopprimere l’indice misto dell’Avs viola la Costituzione federale (che all’articolo 112 dice che «le rendite devono coprire i bisogni vitali in modo adeguato»), gli studi dell’Ufas provano esattamente tre cose. La prima è che senza indice misto Avs il reddito dei pensionati perderebbe gradualmente valore, dato che le casse pensioni non garantiscono la compensazione del rincaro. La seconda conclusione è che la situazione del mercato del lavoro influenza fortemente l’età effettiva del pensionamento. Questo spiega perché, con la legislazione attuale, molti salariati lavorano più a lungo di quanto farebbero se questa situazione migliorasse. Non è necessario elevare l’età del pensionamento, perché già attualmente l’Avs permette di lavorare più a lungo. Infine, gli studi provano che oggi ad anticipare il pensionamento sono soprattutto coloro che hanno un buon secondo pilastro o dispongono di risparmi importanti. Chi ha un reddito modesto non può invece permettersi il prepensionamento, ragion per cui l’età della pensione va resa flessibile verso il basso. Ora, se queste sono le conclusioni degli studi dell’Ufas (costati un milione di franchi), vuol dire che Couchepin ha messo a punto il suo programma senza nemmeno leggerli. Va però anche detto che, secondo l’Uss, questi studi si basano sulle stesse previsioni demografiche che negli ultimi vent’anni si sono rivelate sbagliate. Si tratta di scenari negativi, persino catastrofici, che «rendono impossibile fare una politica intelligente». Per limitarne i danni, queste previsioni andrebbero quindi limitate a dieci anni al massimo.

Pubblicato il

06.06.2003 01:00
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