L’«euroforia» rischia di contagiare anche l’economia Svizzera? Ormai l’uro, la nuova valuta di dodici paesi (su quindici) dell’Unione europea, è entrato di prepotenza, volenti o nolenti, anche nella nostra vita e l’ipotesi di pagare i salari e gli stipendi dei lavoratori confinanti in euro, si affaccia nelle teste di imprenditori e datori di lavoro svizzeri. La prima organizzazione padronale che ha avanzato questa idea è stata la Società svizzera degli albergatori che come il settore dell’edilizia e dell’industria, fa ampio ricorso a manodopera frontaliera. Quanto questo sia possibile legalmente e praticamente e in che misura le imprese svizzere siano disposte ad adottare l’euro per versare lo stipendio ai lavoratori confinanti, lo abbiamo chiesto a tre esponenti del mondo del lavoro ticinese: Saverio Lurati (Sei), Rolando Lepori (Flmo) e Sandro Lombardi, direttore dell’Aiti (Associazione delle industrie ticinesi). «In Svizzera – ci risponde Lombardi – i contratti sono stipulati, per legge, in franchi svizzeri. Quindi qualunque tipo di contratto e per qualunque lavoratore dell’industria del Canton Ticino, la pattuizione del compenso deve essere fatta in franchi svizzeri». Il fatto però che alcuni settori dell’economia ticinese occupino prevalentemente personale frontaliero, molte imprese potrebbero essere tentate di versare lo stipendio in un’altra valuta? «Se ciò avverrà, non credo che avverrà per intenti prettamente speculativi da parte delle imprese. Credo che saranno, giocoforza obbligate quelle imprese che lavorando per l’esportazione, e principalmente per i paesi dell’Unione europea, si ritroveranno con un accumulo di valuta europea. Ora siccome la valuta che riceverò a fronte delle esportazioni è l’euro, che guarda caso è la stessa moneta in cui convertiranno lo stipendio i dipendenti confinanti di quella impresa, si può ipotizzare, se il collaboratore è d’accordo, di versare lo stipendio, calcolato in franchi svizzeri, convertito in euro al cambio del giorno. Ma solo se il collaboratore è d’accordo. Si eviterebbe un doppio cambio di moneta. Da euro a franchi e poi di nuovo da franchi a euro. Sarebbe, secondo me un vantaggio aziendale e non speculativo. Questo è il motivo tecnico che porterà alcune imprese ad adottare questo sistema. Ripeto, non c’è nessun intento speculativo. Del resto per scongiurare ogni intento speculativo basterebbe pagare lo stipendio al cambio del giorno». E se qualche azienda associata all’Aiti dovesse trasgredire, nel senso che cerchi di pagare gli stipendi al cambio più favorevole? «Non siamo un associazione che impone regole. Abbiamo una credibilità maturata negli anni e riconosciutaci da tutti. Cerchiamo di rappresentare uno stile imprenditoriale serio ma non posso giurare per tutti gli associati. Lo ripeto ancora una volta: secondo me se il collaboratore è d’accordo e lo stipendio viene convertito in euro al tasso di cambio del giorno di versamento, si eliminano tutti gli intenti speculativi e rimangono solo quelli di maggiore praticità». Dello stesso avviso anche Saverio Lurati, segretario cantonale del Sei (Sindacato edilizia e industria). «Secondo le norme del Codice delle obbligazioni, in linea di principio, il salario deve essere pagato in moneta legale e l’euro è una moneta legale». Non è quindi impossibile pagare un salario in un’altra moneta, almeno dal punto di vista legale. «Il problema – ci ricorda Lurati – non è la moneta nella quale viene versato il salario dei lavoratori frontalieri, ma la pattuizione del salario che, nel caso della Svizzera, deve essere fatto in franchi svizzeri». Il versamento del salario, infatti, secondo le norme del Codice delle obbligazioni deve essere accompagnato da un conteggio dettagliato. «Questo conteggio lo si deve fare per forza di cose in franchi svizzeri perché è la moneta in cui si versano i contributi sociali (Avs, Ai, Ad ecc.). Non capisco quale possa essere il vantaggio diretto, per un’impresa svizzera, allestire i conteggi in euro e poi versare gli oneri sociali in franchi. Come datore di lavoro, se pattuisco lo stipendio in franchi, farò le trattenute contributive in franchi e le verserò in franchi». Questo per quanto riguarda gli oneri sociali, ma per lo stipendio versato ai lavoratori? «In questo caso – continua Lurati – l’importante è che il salario netto, calcolato in franchi svizzeri, venga versato in euro al cambio del giorno. Le aziende possono anche comprare gli euro necessari in anticipo, l’importante è che non si creino disparità di trattamento fra lavoratori». Il timore dei sindacati è un altro e riguarda la contrattazione: «Diventa, dal nostro punto di vista, – continua il segretario cantonale del Sei – inaccettabile una contrattazione in euro. Non sappiamo se è illegale, ci vorrebbe un parere giuridico per stabilirlo, ma è sicuramente inaccettabile dal punto di vista sindacale e della parità di trattamento. Si creerebbero divisioni tra lavoratori indigeni e manodopera frontaliera. E il timore di divisioni e malcontenti tra lavoratori emerge anche dalle parole di Rolando Lepori, segretario dell’altro importante sindacato dell’industria (Flmo). «Pareri giuridici recenti dicono che i salari e gli stipendi devono essere pagati in moneta corrente svizzera. Quindi il salario dei lavoratori frontalieri deve essere pagato in franchi svizzeri. Questa è la posizione del nostro sindacato. Ma il problema vero è un altro, ed è quello di evitare speculazioni sulle spalle dei lavoratori». Ma se il lavoratore frontaliero è d’accordo sul fatto di ricevere il proprio stipendio direttamente in euro? «A questo punto – aggiunge Lepori – è un problema tecnico e non più sindacale. L’unica condizione da rispettare è che il salario venga calcolato in franchi svizzeri e cambiato, al tasso di cambio del giorno, in euro (dal lavoratore o dal datore di lavoro) non è più un problema. È una possibilità. Se però dovessimo avere il sentore che ciò avvenga con intento speculativo allora cercheremo di opporci». Fra qualche mese, con l’entrata in vigore dei trattati bilaterali, il problema del versamento dei salari in euro ai frontalieri potrebbe porsi sotto un’altra veste. In quel caso riguarderebbe i cosiddetti lavoratori distaccati. «I lavoratori distaccati – ci ricorda il sindacalista del Flmo – vengono pagati già dalla ditta estera e quindi in moneta estera. A noi come sindacato interessa che il salario versato, ad esempio in Italia, corrisponda ai minimi salariali e contrattuali previsti in Svizzera». In questo caso il salario viene versato per forza in euro. Come è possibile accertare che i minimi salariali siano rispettati? «Il sindacato Flmo e altre organizzazioni di lavorato hanno avviato una collaborazione con i sindacati italiani (Uil nel caso della Flmo e Cgil per il Sei N.d.r.) per verificare che da una parte all’altra della frontiera, questi minimi siano rispettati. Punteremo anche su una campagna d’informazione nei confronti dei lavoratori per far sapere quali sono i loro diritti». Non solo informare i lavoratori ma anche le autorità fiscali italiane. «Proprio così – sottolinea Lepori – noi pensiamo anche di intraprendere azioni fiscali, informando l’autorità fiscale italiana dell’ammontare dell’appalto svizzero. «Più che una tendenza – conclude Lurati – quello del pagamento dei salari in euro ai frontalieri nasconde l’intenzione di qualche imprenditore di contrattare in euro. L’unica soluzione per evitare questo è cercare di inserire clausole contrattuali che obblighino a versare lo gli stipendi in franchi svizzeri. Per quanto riguarda il contratto dei falegnami questo c’è già».

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25.01.02

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