«Stiamo andando verso una società illiberale»

Il professor Marcel Niggli e la logica securitaria

Criminologo, decano della facoltà di giurisprudenza all’Università di Friborgo, nonché professore di diritto penale e filosofia del diritto nella medesima università. È Marcel A. Niggli, una delle massime autorità del paese in materia di dottrina giuridica, curatore del Basler Kommentar del diritto penale. A lui abbiamo chiesto dove sta andando la giustizia elvetica.

È corretto affermare che il concetto di sicurezza pubblica ha guadagnato terreno su altri diritti?
Sì, assolutamente. Ormai pare assodato che la nostra società è basata sulla paura. E che l’unica risposta possibile sia la sicurezza. Non so valutare quanto ciò sia diffuso nella popolazione, ma non vi è dubbio che per la classe politica la sicurezza è il valore supremo.


Questa situazione che influsso ha sullo Stato di diritto, dal punto di vista pratico?
Su diversi piani. Pensiamo alle norme della circolazione. Non c’è mai stato un tasso di mortalità così basso come negli ultimi anni. Ma  leggendo i media pare esattamente il contrario. E la politica segue a ruota, inasprendo le norme. Altro caso: il rapporto con gli altri Stati  in materia fiscale. Abbiamo visto con quale facilità sono stati consegnati i nomi dei dipendenti delle banche svizzere alle autorità americane. È semplicemente vietato, è una crassa violazione delle norme in vigore. Si può scegliere di cambiare le leggi per farlo. Ma non violarle. Altrimenti equivale a essere una repubblica delle banane.


I media non sono esenti da colpe su quanto sta dicendo…
Ormai è noto che la rappresentazione dei media punta al sensazionalismo, trattando le notizie con toni aggressivi e allarmistici. Col risultato di alimentare la paura, benché non sia in rapporto con la realtà, spingendo la politica a dare risposte securitarie.


Ma il diritto non dovrebbe fondarsi su principi fondamentali che dovrebbero metterlo al riparo dalle mode, dalle reazioni di pancia a fatti singoli e non supportate dai dati generali e reali?
Dovrebbe. Ma è il risultato della società globale mediatizzata. In Svizzera però credo ci sia una specificità dovuta alla capacità del popolo di intervenire direttamente. E il politico, alla ricerca di consensi elettorali, amplifica le paure invocando risposte immediate. La rapidità è un’altra critica mossa al diritto in questi tempi. È troppo lento. Ma il diritto esiste proprio per rallentare le cose. È paradossale accusarlo di qualcosa che è nella sua natura stessa. Se uno vuole una decisione rapida, non deve scegliere il diritto per ottenerla.


Passiamo al piano penale. Le consta che la prassi della libertà condizionale sia diventata molto più restrittiva negli ultimi dieci anni?
Sì. E anche in questo caso non c’è nessun aumento dei delitti, sia gravi che minori, commessi dalle persone al beneficio della libertà condizionale. Non c’è nessuna giustificazione statistica all’inasprimento della prassi. È semplicemente frutto di una paura irrazionale.


È corretto affermare che si assiste a una trasposizione delle responsabilità dai giudici agli psichiatri, in particolare negli  articoli sull’internamento indefinito (art. 64) e misure terapeutiche (art. 59)?
Si va oltre, creando un gioco perverso di deresponsabilizzazione. Si chiede al giudice di non decidere l’esatta durata della pena, ma lo si incarica di valutare volta per volta quando farla terminare. Per farlo, il giudice si baserà sul parere dello psichiatra. Ma quest’ultimo, se qualcosa dovesse andare storto, dirà di aver solo espresso un parere fondato su statistiche e non certezze. E che la decisione finale l’ha presa il giudice. Lui, a sua volta, dirà di aver deciso in base alla perizia. Alla fine, nessuno si assume la responsabilità e la persona resta incarcerata.

 
Scusi, ma questa giustizia non fa a pugni coi principi cardine dello Stato di diritto liberale?
Sì. Stiamo diventando una società illiberale. Stiamo violando un principio fondamentale del nostro diritto: la certezza che una pena abbia una fine. Sulla severità e la durata della pena si può discutere e decidere di cambiare. Ma lasciare nel limbo la durata della pena, è un’assurdità. Significa che nessuno si assume la responsabilità di scarcerare qualcuno.
La conseguenza è che un numero crescente di persone rimane privato della libertà per un tempo indefinito. E stiamo parlando di un numero incredibile di persone che si trova in questa situazione.


Quali pericoli vede per il cittadino comune, in relazione a queste modifiche?
Ognuno di noi può avere delle difficoltà momentanee e commettere un reato. Una decina di anni fa, l’avvocato difensore avrebbe chiesto una perizia psichiatrica per dimostrare le attenuanti che hanno spinto il suo assistito a commettere l’atto. Oggi lo psichiatra è il nemico della difesa. Se lo si chiama in aula, la persona può finire inghiottita dal sistema perverso dell’assenza di responsabilità di cui parlavo prima. Tutti questi cambiamenti profondi del sistema giuridico avvengono senza nesso con la realtà, mi fanno paura.


Perché la comunità dei giuristi è silente su queste modifiche?
Appare talmente ovvio, che sei un’idiota se ti opponi. Azzardare solamente la domanda di fondo sull’utilità e l’efficacia di una misura, appare illegittimo, insensato.


Fa molta paura quanto dice. Sembra che stiamo andando verso un sistema di pensiero unico contro cui è impossibile porre anche un semplice dubbio…
Sì, purtroppo è così.

Pubblicato il

05.12.2013 14:55
Francesco Bonsaver

L’internamento che uccide

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