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Stephan Schmidheiny è colpevole: 9 anni e 6 mesi per la strage dell’Eternit

La Corte d’Assise d’Appello di Torino riduce la pena rispetto alla sentenza di primo grado ma conferma il reato di omicidio colposo per una parte delle 392 vittime al centro del processo. La difesa annuncia ricorso in Cassazione

TORINO - Stephan Schmidheiny ha ucciso operai dell’Eternit e cittadini di Casale Monferrato. Lo ha stabilito poco fa la Corte d’Assiste d’Appello di Torino, condannando il magnate svizzero alla pena di 9 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo rispettivamente per lesioni colpose aggravate a danno di una parte delle 392 vittime al centro del filone principale del processo Eternit bis. Quello relativo ai morti di mesotelioma causati dalle polveri dello stabilimento di Casale, che Schmidheiny, come massimo dirigente della multinazionale elvetica del cemento-amianto, ha controllato tra il 1976 e il 1986.

 

Il verdetto della Corte, reso noto dalla presidente Cristina Domaneschi poco prima delle 17 di oggi al termine di 3 ore di Camera di consiglio, conferma in sostanza quello dei giudici di primo grado della Corte d’Assise di Novara, che nel giugno 2023 aveva inflitto all’imputato 12 anni di reclusione, sempre per omicidio colposo plurimo aggravato. Decisione poi impugnata sia dall’accusa, che in questo processo d’Appello aveva rinnovato la propria richiesta di una condanna all’ergastolo per omicidio intenzionale, sia dalla difesa che invece chiedeva l’assoluzione piena per Schmidheiny. I giudici d’Appello hanno dunque respinto gli argomenti di entrambe le parti, a cui ora è comunque data la possibilità di ricorrere alla Corte Suprema di Cassazione. Cosa che sicuramente farà la difesa.

 

In attesa di conoscere i dettagli che saranno contenuti nelle motivazioni della sentenza (che dovranno essere depositate entro 90 giorni), dalla lettura del dispositivo si deduce che la Corte ha parzialmente riformato il verdetto dei giudici di Novara: per un certo numero di casi Schmidheiny è stato “assolto perché il fatto non sussiste” (probabilmente perché non è stata ritenuta certa la diagnosi di mesotelioma), mentre per un altro gruppo di vittime ha deciso “non doversi procedere” in quanto il reato è da considerarsi “estinto per intervenuta prescrizione”

Di qui la riduzione della pena da 12 anni a 9 anni e 6 mesi.

 

Le reazioni a caldo

«C’è una conferma importante in termini di anni di reclusione», commenta la sostituta Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino Sara Panelli. «Chiaramente nessuna condanna è una soddisfazione, però l’impianto accusatorio elaborato dalla Corte d’assise di primo grado ha tenuto. Questo si può dire ed è importante. Poi per i fatti dichiarati prescritti o configurati in altro modo dovremo naturalmente leggere le motivazioni per comprendere il percorso del ragionamento della Corte», ha dichiarato la magistrata. «La riduzione della pena è dettata dai casi che sono nel frattempo caduti in prescrizione», spiega dal canto suo l’avvocata Laura D’Amico, legale di parte civile. Anche tra i rappresentanti delle vittime e dei loro familiari serpeggia un certo ottimismo: «C’è una conferma della colpa e dunque noi intendiamo questa sentenza come un’affermazione della giustizia. Speriamo che sia un contributo all’affermazione della giustizia fino in fondo, perché un disastro di questo tipo che non veda un’importante condanna sarebbe il colmo. Sarebbe il fallimento della giustizia», commenta Bruno Pesce dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto di Casale Monferrato AFEVA.

Dai banchi della difesa parla invece l’avvocato Astolfo Di Amato: «Siamo parzialmente soddisfatti per la parte in cui il nostro appello è stato accolto. Faremo ricorso in Cassazione per il resto».

 

Si va in Cassazione

Sappiamo dunque per certo che quella di oggi non è una sentenza definitiva e che essa passerà al vaglio della Corte di Cassazione. Corte che finora ha annullato tutte le condanne pronunciate negli ultimi quindici anni nei confronti di Schmidheiny da Corti d’Appello: nel 2014 aveva infatti cassato la sentenza di condanna a 18 anni per disastro ambientale del primo storico processo; e più recentemente, nell’ambito dell’Eternit bis, nel filone per lo stabilimento di Bagnoli in cui il miliardario svizzero è stato condannato in primo e secondo grado a 3 anni e mezzo per un caso di morte per mesotelioma, ha annullato la decisione dei giudici napoletani e disposto il rifacimento del processo d’appello, e lo stesso è successo nel procedimento riguardante lo stabilimento di Cavagnolo: in questo caso l’alta Corte per due volte ha annullato la sentenza d’appello (in cui Schmidheiny è stato condannato a 1 anno 8 mesi per l’omicidio colposo di un ex operaio morto di asbestosi) e ordinato il rifacimento del processo. Col risultato finale di un nulla di fatto, visto che il caso (proprio oggi 17 aprile 2025) è caduto in prescrizione.

 

Ora, si dovrà attendere qualche mese per sapere se la sentenza pronunciata oggi a Torino nel filone più importante dell’Eternit bis avrà sorte migliore davanti agli ermellini. In particolare per quello che riguarda il nesso di causalità tra le morti e la condotta dell’imputato, che è uno degli aspetti più controversi di tutta la vicenda e che peraltro anche questa mattina è stato portato all’attenzione della Corte prima che si ritirasse il Camera di consiglio dall’avvocato della difesa Guido Carlo Alleva, intervenuto per l’ultima replica. Un intervento in cui ha ribadito la tesi di una sostanziale “estraneità” di Schmidheiny: “Non gli si possono attribuire delle responsabiltà generiche per quanto successo; lo stabilimento esisteva dal 1907 e da allora Casale è inquinata, purtroppo”.

La vicenda giudiziaria di Stephan Schmidheiny in Italia, insomma, non si chiude qui.

FOTO: la giudice Cristina Domaneschi mentre legge il dispositivo

Pubblicato il

17.04.2025 18:06
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