Diverse persone hanno manifestato oggi, a Losanna, davanti alla sede della Starbucks Coffee Trading Company SARL (SCTC), filiale elvetica del gigante mondiale delle caffetterie. Secondo un recente rapporto del Centre for International Corporate Tax Accountability (CICTAR) è tramite questa azienda svizzera che la multinazionale americana ha messo in piedi un sofisticato meccanismo di evasione fiscale a scapito dei produttori di caffè del Sud del mondo. Il rapporto sostiene che dietro al suo approvvigionamento “etico” di chicchi di caffè, Starbucks nasconda una grande operazione di elusione fiscale globale. Gli autori della ricerca stimano che almeno 1,3 miliardi di dollari siano stati dirottati attraverso la filiale svizzera di Starbucks nell’ultimo decennio. In sostanza la SCTC acquisterebbe tutti chicchi di caffè non tostati, anche se questa materia prima – che corrisponde circa al 3% del commercio mondiale annuo di caffè – non passa dalla Svizzera. In seguito, gli stessi chicchi di caffè verde vengono venduti ad un prezzo molto più elevato ad altre entità della struttura aziendale di Starbucks. I profitti derivanti da tali operazioni sono così tassati in Svizzera ad un’aliquota significativamente inferiore rispetto a quella che avrebbero avuto se fossero stati registrati altrove. Questo schema era stato scoperto per la prima volta da un'indagine fiscale della Commissione Europea nel 2015. All'epoca, il gruppo giustificò un massiccio aumento del margine del caffè commercializzato con i costi per l'introduzione del marchio di sostenibilità Coffee and Farmer Equity (C.A.F.E). Il rapporto CICTAR ora mostra che il gruppo lo sta ancora utilizzando. Oggi è proprio questo marchio ecosolidale ad essere al centro del sistema di trasferimento di utili. Tuttavia, i produttori di Starbucks nel Sud del mondo non traggono nessun vantaggio finanziario da queste pratiche fiscali: tutti i profitti di 120-150 milioni di dollari che la SCTC di Losanna ha incassato ogni anno grazie al commercio del caffè etichettato all'interno del gruppo, sono stati trasferiti ad Amsterdam e Londra sotto forma di dividendi fino al 2021, per poi scomparire nella rete di proprietari del gruppo, difficile da comprendere. Starbucks si presenta come un'azienda socialmente responsabile e fa pagare ai suoi clienti un sovrapprezzo per il suo approvvigionamento “etico”, ma sembra che ciò gli permetta semplicemente di trasferire i suoi profitti in Svizzera e sottrarsi ai suoi obblighi di finanziare servizi nei paesi produttori e consumatori di caffè: «Sebbene non vi siano accuse di violazione della legge da parte di Starbucks, questa pratica è chiaramente contraria all'etica e dimostra l'urgente necessità di un'azione efficace contro la Svizzera e altri paradisi fiscali mondiali» si legge nel rapporto. Una situazione che fa reagire Dominik Gross, esperto di politica fiscale per Alliance Sud, think thank che raggruppa diverse ONG svizzere attive in Paesi del Sud del mondo: «Nonostante l'imposta minima dell'OCSE, il Canton Vaud e la Svizzera rimangono interessanti per questi trucchi di elusione fiscale delle multinazionali». Ma non è tutto: nuove misure di sostegno per le grandi aziende, con le quali le entrate fiscali minime tornano alle aziende che pagano le tasse, rendono le località svizzere a bassa imposizione ancora più attraenti per le multinazionali. «Se la politica svizzera non interviene in modo incisivo, aziende come Starbucks potrebbero trarne vantaggio», conclude Dominik Gross. Da parte sua Starbuck scrive che le accuse contenute nel rapporto «non riflettono accuratamente il nostro modello di business e il modo in cui le diverse contribuiscono al successo dell'azienda». |