Spille d’oro

Scomparse come l’abbazia del Nome della rosa. Soltanto otto, di cui due in Ticino, sono quelle superstiti delle molte chiese edificate secondo il cosiddetto “modulo bernardiniano” nella seconda metà del Quattrocento dall’Osservanza francescana. Il movimento, fondato da Paoluccio Trinci da Foligno nel 1368, si prefiggeva di ritornare alle abitudini di vita povera praticate da Francesco d’Assisi e dai suoi primi compagni. Bernardino da Siena vi aveva aderito a ventidue anni, nel 1402, appena entrato nell’ordine francescano, mettendosi subito a predicare il distacco assoluto dai beni terreni. Coerentemente, nessuna nuova costruzione per i frati dell’Osservanza, ma il riuso di cappelle abbandonate, ai margini delle città. Siccome quelle piccole chiese erano appena sufficienti per le funzioni religiose dei frati, e poiché il loro stile di vita suscitava l’interesse dei cittadini che accorrevano numerosi ad ascoltarne le parole, ben presto si rese necessario uno spazio coperto più grande.

 

Ma come fare con poca spesa? La soluzione fu di aggiungere un nuovo vano davanti al vecchio oratorio. Di conseguenza l’interno dell’edificio risultava diviso in due parti dalla facciata della vecchia chiesa, che non si poteva demolire pena dover rifare il tetto. Un tramezzo ingombrante, ma che per una felice concomitanza storica diventò il campo in cui si esercitarono i più grandi pittori dell’epoca, da Vincenzo Foppa a Gaudenzio Ferrari a Bernardino Luini. Il soggetto, imposto da San Bernardino stesso, era un tema di meditazione caro ai francescani: diversi riquadri illustranti la vita di Cristo, più un grande spazio al centro riservato alla Crocifissione. A quegli episodi faceva riferimento il frate predicatore durante i sermoni dell’Avvento e della settimana che precede la Pasqua.

 

Nel secolo successivo quel modello iconografico venne abbandonato, forse perché la centralità della Crocifissione sembrava troppo vicina alla luterana giustificazione per fede. O forse perché l’invenzione della stampa rendeva superflui i Vangeli illustrati sui tramezzi. Nella chiesa di San Bernardino a Ivrea gli affreschi vennero eseguiti dal vercellese Martino Spanzotti tra il 1485 e il 1490, una decina di anni dopo quelli oggi perduti di Vincenzo Foppa nella prima chiesa osservante a Pavia. E del maestro bresciano si sospetta costituiscano quasi una copia, specialmente nei riquadri della Natività e dell’Adorazione dei Magi. Ma già a partire dal Seicento chiesa e convento decaddero, subirono occupazioni militari e ad inizio Ottocento con la soppressione napoleonica passarono in mano a privati che li utilizzarono per scopi agricoli. Fino a quando ai primi del Novecento Camillo Olivetti acquistò tutto il complesso per farne la sua abitazione privata, e il figlio Adriano tra il 1955 e il 1958 ne fece restaurare gli affreschi. Ad aprire la chiesa alle visite e a dare tutte queste informazioni sono delle persone gentilissime e competenti, le Spille d’Oro Olivetti, associazione che ha preso il nome dalla spilla in oro che l’azienda regalava ai dipendenti dopo venticinque anni di lavoro.

 

La Olivetti, che nel 1969 contava 73.000 lavoratori ed era una delle aziende più importanti al mondo nel campo dell’informatica, oggi non esiste più, avendo cambiato nome in Telecom Italia SpA ed essendosi fatta inglobare nella tedesca Mannesmann, a sua volta comprata dall’inglese Vodafone. Ora lo stabilimento produttivo di Ivrea ospita in una parte le attività di Vodafone, in un’altra una sede distaccata dell’Università di Torino e in un’altra parte mostre, concerti e spettacoli. Il parco tutt’intorno, compresa la chiesa, è aperto al tempo libero degli ex dipendenti. La classe operaia ridotta a fare da portinaia alla villa del padrone.

Pubblicato il

12.09.2018 11:09
Giuseppe Dunghi