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Spettro di una medicina a due velocità

“Così non si può andare avanti”, “urgono soluzioni drastiche”. Sono i ritornelli d’inizio autunno che, come in un rituale, accompagnano le stangate sui premi dell’assicurazione malattie, che anche nel 2024 subiranno un’impennata media dell’8,7% (addirittura del 10,5% in Ticino), la più consistente da 21 anni a questa parte, ha comunicato martedì il ministro (dimissionario) della sanità Alain Berset. Ritornelli a cui però non seguono, mai, soluzioni. Complice una politica incapace, sorda e indifferente alla crescente sofferenza dei cittadini e delle famiglie, soprattutto in una fase come quella attuale contraddistinta dal generale aumento dei prezzi e dall’erosione del potere d’acquisto. Cittadini e famiglie su cui invece si tende a scaricare ogni responsabilità: che imparino a “consumare” meno medicina, a cambiare cassa e a scegliere il modello assicurativo più vantaggioso.

 

“Il potenziale di risparmio è enorme”, ci verrà ripetuto nelle prossime settimane. Ma è solo fumo negli occhi. Ed è un approccio pericoloso, perché in modo strisciante fa largo a una medicina a due velocità, una di qualità per chi se lo può permettere e una razionata per gli altri.


Un “modello” insomma totalmente antisociale, molto caro alla destra: si pensi alla recente delirante proposta della consigliera di Stato zurighese dell’Udc Natalie Rickli di abolire l’obbligatorietà dell’assicurazione medica di base o alla ricetta del Plr di un’assicurazione malattie “à la carte”, in cui è possibile, all’insegna del principio della “responsabilità individuale”, scegliere un modello “budget” da cui sono esclusi certi trattamenti e i farmaci più cari. Ma non è necessario arrivare a tanto per limitare l’accesso alle prestazioni sanitarie, che è purtroppo già una realtà nel regime attuale per molte persone. Si pensi a quelle che, per risparmiare qualche decina di franchi di premio mensile, optano per una franchigia elevata assumendosi così il rischio di pagare di tasca propria eventuali trattamenti fino a raggiungere l’importo equivalente (che può arrivare fino a 2.500 franchi).

 

È il classico specchietto per allodole che in un certo senso induce l’assicurato a “scommettere” sulla propria salute e sempre più spesso a rinunciare a recarsi dal medico o ad effettuare controlli periodici anche molto importanti sul piano della prevenzione delle malattie (si pensi per esempio alle visite ginecologiche). Una situazione che confermano alcune cifre scioccanti pubblicate proprio qualche settimana fa dall’Osservatorio svizzero della salute, secondo cui quasi la metà delle persone (il 46,7%) più vulnerabili che vivono una condizione economica sfavorevole, rinuncia per ragioni finanziare a recarsi dal medico o ad assumere dei farmaci necessari. Siamo già nell’anticamera della medicina a due velocità.


Tenuto conto che è illusorio pensare di poter abbattere i costi sanitari senza intaccare le prestazioni, l’unica via percorribile e socialmente sostenibile è quella di aiutare la popolazione a pagare i premi con misure immediate di sgravio, come quelle previste dall’iniziativa popolare del Partito socialista e dell’Unione sindacale svizzera secondo cui i premi dell’assicurazione malattie non debbano superare il 10 per cento del reddito disponibile, grazie a maggiori contributi di Confederazione e Cantoni.

 

Iniziativa che sarebbe certamente un primo passo in direzione di un finanziamento più sociale che tenga conto della condizione economica delle persone, come succede ovunque in Europa. Ma è evidente che l’obiettivo deve essere quello di superare l’ingiusto sistema dei premi pro capite uguali per tutti in favore di un sistema di premi proporzionale al reddito e di istituire una cassa malattie unica e pubblica.  


Un obiettivo non certo a portata di mano visti gli interessi contrastanti e i veti incrociati dei vari attori della sanità (ne parliamo qui) che ci hanno condotto in questa situazione, oltre i limiti del sopportabile per un numero sempre maggiore di assicurati.

Pubblicato il

27.09.2023 10:24
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