Amalia Mirante, economista all'Università della Svizzera italiana, la crisi non potrebbe essere vista come un incentivo a ricostruire un tessuto industriale dove la categoria di produttori di alto valore aggiunto, fatta di salari dignitosi, sia preponderante?
Credo sia proprio il momento di ripensare la struttura industriale ticinese e non solo. Bisognerebbe riuscire a far risorgere l'industrialità ticinese, dandogli più peso e concentrandosi meno sul settore dei servizi, orientandosi verso una crescita più solida. Sia chiaro, ciò non significa abbandonare i servizi, ma trovare un giusto equilibrio tra i vari settori.
Ci vorrebbe dunque una forte politica economica cantonale?
Ci vorrebbe una politica economica a sostegno di tutte le attività, comprese quelle a basso valore aggiunto. Certamente però è una buona occasione per ripensare una strategia di aiuti e sostegni più importanti verso determinate industrie. Non parlo di economia pianificata, ma non credo neanche che la soluzione sia lasciare al solo libero mercato di regolarsi.
Come s'immagina questi aiuti?
Il sostegno deve essere dato alle attività che non riducono i loro effetti benefici limitati in questo periodo di bassa congiuntura, ma che diano vantaggi nel lungo termine, come l'impatto ambientale. Questi sono i settori su cui maggiormente concentrarsi.
Come si può cercare di essere pronti quando ripartirà l'economia?
Un ambito importante nel quale il cantone può giocare un ruolo, e in parto lo sta facendo, è attraverso la realizzazione di opere pubbliche. Un esempio sono le ristrutturazioni di stabili in chiave ecologica, quali misure a sostegno dell'edilizia e il suo indotto.
E la possibilità di incidere maggiormente, prospettando una riconversione industriale?
È difficile. L'impatto centrale lo ha l'iniziativa privata. Il pubblico può avere un ruolo di sostegno, nulla di più.

Pubblicato il 

27.03.09

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