Lavorano più dei loro compagni francesi e tedeschi ma guadagnano decisamente di meno e pagano più tasse per garantire ai ceti benestanti di pagarne di meno. Ecco, in estrema sintesi, l’istantanea dei lavoratori dipendenti italiani. L’inflazione negli ultimi cinque anni si è mangiata il 6,9% del potere d’acquisto dei salari, contro un calo del 2% della Germania e un lievissimo aumento dello 0,1% della Francia. Stiamo parlando dei “fortunati” che hanno un contratto regolare, poi ci sono categorie per le quali i calcoli si fanno complicati: lavoratori a termine, a chiamata, a part time involontario, false partite IVA, lavoratori stranieri in appalto e subappalto con contratti dei paesi d’origine. Senza parlare dei lavoratori al nero, impiegati specialmente in agricoltura e nell’edilizia. A lanciare l’allarme non sono più soltanto i sindacati, non è più solo Maurizio Landini che ripete, inascoltato da un governo sordo che odia i lavoratori, che in Italia si è poveri anche lavorando. Ora ad avanzare le critiche sull’impoverimento di quella che una volta si chiamava classe operaia sono anche istituzioni e organismi economici nazionali e internazionali. Secondo l’OCSE – l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico – in Europa i salari stanno recuperando valore dopo la crisi economica e il covid ma l’Italia batte in testa e la leggera crescita (2,7% previsto nel 2024 e appena il 2,5 nel 2025) recupera solo in minima parte la perdita di potere d’acquisto legata all’inflazione, e ciò ci pone all’ultimo posto nell’Eurozona e al terzultimo tra i 38 paesi dell’Ocse. Nelle sue analisi sulla situazione italiana l’OCSE aggiunge che andrebbe reintrodotto un reddito di cittadinanza o quantomeno un’estensione dei nuovi sussidi a tutta la popolazione a rischio di povertà. L’opposto di quel che sta facendo il governo di destra che a proposito degli interventi sociali indispensabili continua a piangere miseria, salvo decretare l’aumento della spesa militare come ha fatto all’inizio della settimana Giorgia Meloni per farsi bella al vertice Nato. Al governo che impedisce la discussione parlamentare sulla proposta di salario minimo avanzata dalle opposizioni, risponde indirettamente il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta: non è vero che una crescita del potere d’acquisto farebbe ripartire la spirale dei prezzi e degli stipendi per una semplice ragione: le imprese possono aumentare le retribuzioni senza che il peso ricada sui consumatori. Perché, aggiungiamo noi, banche e aziende hanno aumentato gli utili negli anni in cui si prosciugavano i salari. Ma Il governo nemmeno una tassa sugli extra profitti ha osato introdurre, sulla base della filosofia meloniana: “Non creeremo problemi a chi vuol fare”. Uno dei punti di conflitto tra Palazzo Chigi e i sindacati (CGIL e UIL) riguarda il rinnovo dei contratti pubblici a cui sarebbero destinati 8 miliardi, un terzo della manovra economica si difende il ministro Zangrillo. Peccato che non basterebbero neppure a recuperare il potere d’acquisto perduto. Già oggi molti vincitori dei concorsi nel pubblico impiego rinunciano al posto perché il salario è troppo basso, tanto più che per molti il lavoro sarebbe lontano da casa e questo farebbe aumentare i costi, non sostenibili con buste paga così leggere. In Italia si lavorano più ore che negli altri paesi europei e l’orario continua ad allungarsi, per gli occupati a tempo pieno l’aumento nel terzo trimestre del 2023 è stato dello 0,8% e nel quarto del 2,4%. Il tasso di occupazione è tra i più bassi, del 61,9% e quello di disoccupazione tra i più alti, il 7,4%. In questo contesto le scelte fatte dal governo sono devastanti: si lamenta la decrescita demografica, si chiede provocatoriamente alle donne di fare più figli mentre si abbassano i salari e si tagliano i servizi. Tra gli obiettivi mancati con i fondi del PNRR c’è l’investimento sugli asili. Infine, si lamenta il minor gettito fiscale minacciando ulteriori attacchi alle pensioni ma non si colpisce l’evasione e con la legge Bossi-Fini si impedisce la regolarizzazione dei migranti. Si lamentano i troppi posti di lavoro operaio vacanti mentre si blindano le frontiere di mare e di terra. Gli ingredienti per una ripresa del conflitto sociale in autunno ci sono tutti, CGIL e UIL si dicono pronte. Vedremo se dall’opposizione politica arriverà, finalmente, una sponda. |