Qualche anno fa uno studioso, già direttore dell’Ufficio di statistica del canton Zurigo, sosteneva che neppure all’epoca della industrializzazione della Svizzera e dei suoi baroni si trovava una concentrazione così elevata di ricchezza, tanto che una sua pubblicazione portava il sottotitolo significativo: “Die Feudalisierung der Schweiz”, la feudalizzazione della Svizzera. La Svizzera, quindi, in mano a pochi signorotti o ad alcuni amministratori di grossi patrimoni. Che in Svizzera ci sia la più forte concentrazione di ricchezza patrimoniale del mondo lo sostiene qualche indagine di alcuni coraggiosi ricercatori che sono arrivati a concludere, in sostanza, che il 10 per cento degli abitanti possiede il 71 per cento dei patrimoni. Quando all’università i professori di economia ci spiegano le leggi che governano il mercato o il sistema di formazione dei prezzi, usano una frase di scuola che comincia: “Data una certa distribuzione della ricchezza ecc. ecc.”. Che cosa vuol dire? Vuol dire che è la distribuzione del reddito e della ricchezza a essere determinante nella allocazione delle risorse. Se la ricchezza è molto concentrata, si finisce nel feudalesimo, con il rischio di morirne soffocati. Se ne cambiamo invece la distribuzione, almeno nel senso di una maggiore eguaglianza nel potere d’acquisto (o, ad esempio, in un adeguamento costante anche dei salari alla crescita della ricchezza), l’intero sistema si capovolgerebbe, provocando mutamenti radicali nell’allocazione delle risorse e quindi anche nei consumi, negli investimenti. Quella frase – “data una certa distribuzione del reddito e della ricchezza” – non è quindi da prendere sottogamba. Anzi, è il centro dell’economia politica. Ma bisogna appunto abbinare economia e politica. Ciò che non si tende a fare, anche perché uno strumento essenziale per arrivarci è la politica fiscale. Chi sono i gestori dei grandi patrimoni? Ha cercato di rispondere a questa domanda in uno studio apparso su una rinomata rivista (Socio-Economic-Rewiew, vol. 15) un professore di sociologia (Brooke Harrington) che ha osato indagare in un mondo poco conosciuto dal grande pubblico e sul quale esistono pochissimi lavori perché è difficile ottenere informazioni. Per poterlo fare l’autrice ha seguito un corso di gestione di patrimoni di due anni in Svizzera e nel Lichtenstein, indagando e intrattenendosi con importanti gestori di patrimoni. Il cui scopo è quello di proteggere e far crescere il patrimonio dei loro clienti. Non possiamo entrare nei dettagli della loro “strategia”, che sa soprattutto insinuarsi con estrema abilità nelle lacune giuridiche e nelle debolezze e contraddizioni politiche del paese. Ciò che importa rilevare è l’influenza, dimostrata, che i gestori di patrimoni riescono ad avere nella stesura di nuove leggi (in particolare quelle fiscali) e anche nelle elezioni politiche (e forse così si spiega la scelta politica di questi ultimi giorni di non trasparenza sul finanziamento dei partiti). Con una buona spiegazione del dato portato all’inizio e con il risultato che porta appunto a: concentrazione dei patrimoni, ricchi che diventano sempre più ricchi, disuguaglianza crescente, intralcio alla mobilità sociale, impedimento all’espressione uguale del voto politico che finisce per riflettere il peso del denaro o di un voto vale due se hai la borsa piena. E, in fondo, la crisi della democrazia, di cui si parla, parte anche da qui.
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