Emmen, 2 dicembre scorso. Nonostante il nome che suona italiano (o forse proprio per questo), Vanessa Franca, una bambina di 11 anni appartenente ad una famiglia immigrata dalla ex-Jugoslavia, è diventata svizzera. Ma è un’eccezione. Per la quarta volta, infatti, gli abitanti della seconda città del canton Lucerna hanno votato su un certo numero di domande di naturalizzazione. Ed è la terza volta che hanno rimediato una figuraccia. La storia si ripete Sì, perché tale, per non dire di peggio, è il risultato di questa ostinazione nel rifiutare il passaporto rossocrociato a cittadini provenienti dai Balcani, contro ogni principio di parità ed in aperta violazione dell’articolo 8 della Costituzione federale. Già nell’autunno del 1999 e poi il 12 marzo 2000, le decisioni popolari in materia avevano procurato ad Emmen un biasimo più o meno sincero ma certamente molto esteso. La consigliera federale Ruth Metzler, ministra di giustizia e polizia, aveva parlato allora di «tendenze pericolose». Alla terza occasione, il 10 giugno di quest’anno, pareva che la cattiva fama avesse sortito un certo effetto: a sorpresa, tutte le 13 domande di naturalizzazione, concernenti 22 persone, tra cui bosniaci, serbi, croati e turchi, erano state approvate. Domenica scorsa, invece, le cose sono andate diversamente (e, purtroppo, in modo prevedibile a causa dell’influenza di fatti di cronaca locale): accolte le sette domande presentate da persone provenienti dall’Italia, dal Marocco, dalle Filippine e dal Portogallo, più quella di Vanessa Franca, le altre otto candidature, concernenti 12 persone originarie dell’ex-Jugoslavia, sono state respinte. Le autorità locali ora dicono di voler sottrarre le naturalizzazioni al giudizio popolare, ritenendo che la procedura non sia più «praticabile». Questa pronta esternazione del «Gemeinderat» (l’esecutivo comunale) è l’unica vera sorpresa della giornata di votazioni. In effetti, lo smacco ripetuto è pesante per le autorità cittadine, che hanno vagliato e selezionato con severità le decine di richieste di naturalizzazione. Ma è ancora più grave per lo stato di diritto, poiché l’esercizio di un diritto popolare viene assurdamente utilizzato per negare ad alcune persone, soltanto a causa della loro origine, l’uguaglianza giuridica rispetto ad altre persone, nonostante l’adempimento di condizioni identiche. Una condanna unanime La condanna per questo uso improprio della democrazia diretta è pressoché unanime. La consigliera federale Ruth Metzler ha sottolineato come il ripetersi del «caso Emmen» dimostri l’importanza e la necessità di una legge che preveda procedure facilitate di naturalizzazione. Il segrtetario generale del Ps, Reto Gamma, non ha invece esitato a parlare di «arbitrarietà» ed ha espresso pieno sostegno al diritto di ricorso per gli stranieri ed all’uniformazione della procedura a livello svizzero. Il Ppd, per bocca della sua portavoce, Béatrice Wertli, ha messo in dubbio il procedimento di queste votazioni: dovrebbe essere un organo ristretto a decidere sulle naturalizzazioni, introducendo ovviamente un diritto di ricorso. Quanto al Prl, il segretariogenerale del partito, Guido Schommer ha deplorato i risultati di Emmen e sottolineato che la Confederazione, proponendo il diritto al ricorso, ha già trovato una soluzione al problema. Soltanto l’Udc ha parlato di decisione democratica «che bisogna accettare». Secondo Yves Bichsel, portavoce del partito, i motivi del rifiuto devono esser cercati a livello locale: ha sicuramente influenzato l’elettorato l’omicidio di un giovane di Emmen commesso da un bosniaco 55enne il 15 settembre scorso. A seguito di questo grave fatto di sangue, la sezione locale dell’Udc aveva chiesto di respingere tutte le domande di naturalizzazione di persone provenienti dai Balcani. Correre ai ripari Ora, come detto, le autorità di Emmen vorrebbero correre ai ripari. Già domenica, appena appreso il risultato della votazione, il «Gemeindepräsident» Peter Schnellmann ha riconosciuto che «le votazioni popolari sulle naturalizzazioni non sono praticabili». Il Municipio conta di presentare in aprile al parlamento cittadino la proposta di demandare la decisione finale ad una commissione appositamente istituita. Il presidente della locale sezione dell’Udc, Felix Müri, s’è messo subito a strepitare che, così facendo, si attenta ai diritti popolari. Secondo lui, tale proposta irriterebbe ancor di più la gente; ovviamente il suo partito vi si opporrà. «Una modifica della procedura richiede già una votazione popolare», ha replicato il municipale Daniel Bühlmann. «Sarà quindi il popolo stesso a decidere di non votare più sulle naturalizzazioni. Sappiamo che ci attende un difficile lavoro di convizione, ma crediamo in questo dialogo». Questa reazione è stata probabilmente influenzata anche dalle autorità di Svitto, capitale dell’omonimo cantone, dove anche domenica scorsa il popolo ha respinto la naturalizzazione di 13 persone. Dopo la precedente bocciatura di altre dieci domande il 23 settembre, il Municipio svittese aveva cercato invano di coinvolgere tutti i partiti nella ricerca di una soluzione. Ora il governo cantonale propone che vengano istituite apposite assemblee comunali per decidere sulle naturalizzazioni, e che il passaporto rossocrociato venga dato automaticamente agli stranieri nati in Svizzera. Ma a livello nazionale l’opinione prevalente è che la soluzione non risieda in questi rimedi locali, ma nel diritto di ricorso contro una decisione avversa, anche se localmente decretata da una votazione popolare. È una necessità assoluta, soprattutto se si considera che in alcuni comuni della Svizzera centrale, come a Littau (LU), l’Udc sta cercando di far entrare tra i criteri di selezione anche la religione dei candidati: il che sarebbe un’altra inammissibile violazione della Costituzione federale. Contro questi atti d’arbitrio, compiuti in nome della democrazia, occorre uno strumento giuridico, il diritto di ricorso, che la competente commissione del Consiglio Nazionale ha riconosciuto come urgente e vorrebbe far discutere al plenum già martedì prossimo 11 dicembre.

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07.12.01

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