La Posta è formalmente di proprietà pubblica, ma ha adottato criteri di gestione privati. Non solo. Ha trasformato gli uffici a somiglianza di certe bottegucce d’altri tempi nelle quali non esisteva un solo metro quadrato che non fosse destinato a produrre utili, anche di pochi centesimi: romanticamente affastellati, il vaso delle caramelle, i lecca-lecca bene in vista, i pastorelli del presepio, i coriandoli di carnevale, i bastoncini di liquirizia. E il sorriso largo del bottegaio ad attirare i bambini. Grandezza del liberismo!
Ma c’è una cosa (bisogna dirlo a bassa voce, altrimenti i dirigenti della Posta non ci pensano due volte a intervenire) che sembra sfuggita alla furia dei riformatori: le tariffe postali non hanno ancora compiuto quel passo all’indietro nel pre-moderno come ci si potrebbe aspettare di questi tempi. Sono moderne nel senso che contengono un principio della modernità. Gli utenti (loro li chiamano clienti) sono considerati cittadini con pari diritti: intrattenere relazioni epistolari con una persona a San Gallo o a Massagno costa esattamente la stessa cifra. Non è necessario essere ricchi per scrivere a un amico lontano, è sufficiente disporre di un normale reddito da lavoro. Sembra poco, ma è importante: far parte di una società solidale è vantaggioso. Insomma, quello che è stato il terreno di conquista dei “riformisti” rivela ancora, nonostante tutto, qualche lato positivo.
Invece altri ambiti della società che dovrebbero opporre la maggiore resistenza alle riforme liberiste stanno mostrando aspetti inquietanti. Prendiamo la sicurezza sociale: la certezza di essere curati quando siamo ammalati, di avere il necessario per vivere se ci troviamo senza lavoro o non più in età lavorativa. Destiniamo una parte del nostro salario appunto per garantirci tutto questo. Ma gli istituti che si incaricano di gestire tali fondi non appartengono precisamente al campo della solidarietà. Le casse malati e i fondi pensione perseguono principalmente l’utile per i propri azionisti. La sicurezza sociale è un affare.
I fondi pensione sono i più grandi investitori privati mondiali. Alla fine degli anni ’90 maneggiavano l’enorme cifra di 30 mila miliardi di dollari. Tale massa di denaro, oltre a prestarsi alle peggiori speculazioni, ha un ruolo ancora più grave: siccome è superiore al bilancio di qualsiasi stato, è in grado di influenzare la politica economica dei governi, imponendo politiche di lotta all’inflazione. E lotta all’inflazione significa blocco dei salari, aumento della produttività, competizione, fuga delle imprese nei luoghi dove la manodopera costa meno, licenziamenti, tagli ai servizi sociali.
Il bisogno di sicurezza, risolto in maniera individualistica attraverso i fondi a capitalizzazione, genera il mostro della speculazione finanziaria, che sta rovinando l’economia e la società. Grandezza del movimento dei lavoratori! |