Da un lato i potenti gettiti che irrigano le terre assetate. Dall’altro le braccia che portano innaffiatoi riempiti tramite una pompa a pedali. A pochi metri una dall’altra, sul Piano di Magadino, convivono realtà agricole diverse. La cooperativa in costituzione Seminterra produce piantine e ortaggi biologici attraverso un approccio collettivo e solidale. «Il nostro concetto è quello che i soci della cooperativa partecipino attivamente alla produzione, così come alla condivisione dei prodotti, ma anche dei rischi legati ad esempio alle avversità meteorologiche» ci spiega Eric Vimercati, uno dei promotori di un progetto che, da maggio, prevede la consegna settimanale ai propri soci di ceste di ortaggi. La pandemia ha avuto ripercussioni sull’essenza stessa del progetto, l’approccio collettivo: «Se ad inizio marzo, quando abbiamo organizzato la prima giornata di lavoro di gruppo, eravamo una cinquantina, ora stiamo portando avanti i lavori in molti meno e abbiamo dovuto ridimensionare la produzione e riflettere a come distribuire i nostri prodotti» racconta Eric Vimercati. L’attuale crisi ha messo in luce l’importanza del settore primario, ma anche tutte le sue contraddizioni. Soprattutto quelle legate alla fragilità dei meccanismi d’approvvigionamento internazionali e basati su logiche di mercato. A lanciare l’allarme sono le agenzie dell’Onu: Fao e Programma alimentare mondiale hanno ribadito «il rischio di una crisi alimentare globale a causa delle conseguenze che l’epidemia ha sulla catena di approvvigionamento e sul commercio internazionale». Certo, in Svizzera siamo fortunati: i negozi non sono mai stati vuoti e quasi tutti i generi alimentari sono finora stati reperibili. I problemi, però, ci sono e ci saranno: oggi sono la mancanza di manodopera e la crisi della ristorazione; domani potrebbe essere l’approvvigionamento sui mercati esteri di alimenti, foraggi e prodotti fitosanitari, da cui dipende sempre più la Confederazione. «L’attuale situazione sta mettendo in evidenza la fragilità del sistema a circuito lungo: se il Sud della Spagna si ferma, gran parte dei prodotti agricoli venduti dalla grande distribuzione svizzera in questo momento verranno a mancare» ci spiega Claudio Brenni, dottore in scienze politiche ed esperto di tematiche legate all’agricoltura e alla sovranità alimentare. Per questo ticinese trapiantato a Berna, dove è attivo nella cooperativa agricola Radiesli, occorre puntare su nuovi modelli: «In Svizzera questo è possibile, c’è la capacità per farlo e sono convinto che la popolazione sia favorevole a sostenere un un sistema locale, vivo e che favorisca la biodiversità». Lo scorso 22 febbraio, 4.500 persone hanno manifestato a Berna per chiedere un’altra agricoltura: più sociale, solidale e rispettosa dell’ambiente. «La nostra agricoltura deve cambiare e deve essere parte integrante della soluzione ai nostri problemi socio-ecologici» si legge nel manifesto, sostenuto da varie associazioni e dal sindacato Uniterre. Secondo questa alleanza, l’obiettivo del settore primario non è più nutrire la popolazione bensì generare profitti per i giganti dell’industria alimentare. Per i manifestanti occorre un cambio di paradigma in un anno, il 2020, in cui il Parlamento dovrà occuparsi del tema, a partire dal dibattito sul messaggio sulla Politica agricola 2022 adottato dal Consiglio federale il 12 febbraio. L’arrivo del Covid-19 ha messo in luce i limiti del governo. Una decisione ha mandato su tutte le furie parte del mondo agricolo: quella di permettere, in pratica, solo alla grande distribuzione di vendere i prodotti alimentari, mentre mercati e punti vendita diretti sono stati chiusi. «Si è trattato di una disparità di trattamento e di un’aberrazione poiché sono i circuiti corti a giocare un ruolo preponderante nell’approvvigionamento e nella sicurezza alimentare della popolazione svizzera» spiega ad area Charles-Bernard Bolay, presidente di Uniterre. Poi il tiro è stato aggiustato, anche a seguito della pressione popolare. Il dirigente del sindacato s’indigna anche per le misure prese dal Consiglio federale per facilitare alcune importazioni: «È inaccettabile che si favoriscano, ancora una volta, il mercato globalizzato e gli attori dell’industria agro-alimentare». In Svizzera e in Ticino il settore si è organizzato, mettendo in piedi tutta una serie di sistemi per favorire la distribuzione dei prodotti nel rispetto delle misure sanitarie. L’ingegno e la creatività, così come la sensibilità di parte della popolazione, non sono certo mancati. Il problema principale, in Svizzera e in Europa, è però la mancanza di manodopera. Ci si sta accorgendo che le nostre insalate e zucchine sono raccolte da qualcuno. E che fare affidamento a manodopera stagionale, spesso irregolare, ultimo anello di una filiera dove il diktat dei prezzi della grande distribuzione crea situazioni di sfruttamento, è un altro punto debole del sistema alimentare. A Gudo, Eric Vimercati diserba a mano assieme con due futuri membri della cooperativa. Il problema, più che la manodopera, è piuttosto la siccità, sempre più frequente e legata ai cambiamenti climatici: «Il nostro problema legato al lavoro è che dobbiamo essere in pochi e distanti; il successo della nostra prima giornata di lavoro nei campi denota che parte della popolazione non solo è interessata ad avere del cibo di qualità, ma crede anche in un altro modo di fare agricoltura» ci spiega il promotore di Seminterra. Certo, stiamo parlando di un piccolo progetto. Un seme di speranza per ripensare a un modello agricolo diverso. In grado di nutrire con prodotti locali la popolazione, con un impatto minimo.
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