Se accostiamo alcune informazioni o attualità economiche o sociali e (se ci si passa la metafora) le deponiamo sul piatto nazionale come spezie del cattivo cibo “politico” che ormai da tanto tempo ci si offre, è molto probabile che riusciamo a rilevare in misura maggiore e migliore le insipienze. Azzardiamoci con due esempi, diversi. 1) Citywire è un gruppo di editoria e informazione finanziaria, una società molto quotata che si è specializzata nel monitoraggio della performance, corretta dal fattore rischio, nella gestione dei fondi. Diciamola in parole povere: si individua e quindi indica, con complicati calcoli sulle attività e i risultati ottenuti, chi sa destreggiarsi meglio nel far fruttare il denaro, l’investimento (performance), soppesandola però anche con l’intelligenza nel tener conto del rischio corso (rischio calcolato). Si stabilisce in tal modo chi sono i dieci migliori gestori sulla piazza. Nell’ultima classifica dei migliori in Svizzera predominano, con tanto di fotografia che non lascia dubbi, Chung, Wong, Wang, Jiang, Ogoshi, Bhundia. Se ne possono ricavare osservazioni ovvie: Svizzera globalizzata; banche e fondi con patrimoni esteri immensi da amministrare ricorrono per immagine o cointeressenza anche a gestori importati; grande apertura, abile e strategica, verso mercati asiatici, strizzando l’occhio ormai più all’Oriente crescente che all’Occidente calante. Ma si tratta dei migliori gestori. Se ne potrebbero quindi avanzare altre due. La prima è che la piazza finanziaria dimostra di avere il fiato corto in fatto di personale qualificato, e deve ricorrere all’importazione anche in quel settore, inimmaginabile ancora qualche decennio fa per immagine e fobia di segretezza. La seconda è che sa di ridicolo (o di tragico?) il bailamme politico del solito partito (e di chi lo affianca) che vende sovranità, autonomia, indipendenza come inoppugnabili baluardi elvetici, mentre uno dei bastioni principali svela più dipendenze cinesi, ignorate, che soggezioni europee, supposte. 2) Un quadro a dir poco apocalittico che si dipinge trattando del cosiddetto accordo quadro con l’Unione europea ha un nome: turismo sociale. Ci sarebbe una marea di non-attivi europei che, attirati come mosche sul miele, si rovescerebbe sulla Svizzera per approfittare delle sue prestazioni sociali, mentre si sa che già gli attivi residenti approfitterebbero dell’assicurazione disoccupazione e degli aiuti sociali. In uno studio dettagliato “Avenir suisse”, che è il laboratorio di idee degli ambienti economici, dimostra che se la Svizzera dovesse riprendere integralmente la direttiva europea (tutti i residenti europei, e non solo i lavoratori, beneficiano dei diritti sociali degli Stati membri dove risiedono) i costi supplementari ammonterebbero a 75 milioni di franchi, a fronte di un totale di spese sociali di 168 miliardi di franchi. Quasi una bazzecola. Tutto molto ridimensionato, insomma. Ciò che non si calcola mai in questa sorta di bilancio sociale o “bilancio di cittadinanza”, sono le spese assunte dagli Stati di provenienza (supponiamo Italia, Germania, Francia) nella formazione delle persone che arrivano da noi, noi che le pretendiamo qualificate. In Svizzera manchiamo di infermieri; ne mancherebbero nei prossimi anni 65mila. Moltiplichiamoli per 130mila franchi che è il costo approssimativo di formazione di un infermiere. Avremo un’idea, in solo questo settore, di quanto anche “risparmiamo” (parolaccia) ricorrendo a personale estero. |