Società, dal consumo al debito

La crisi economica che ci ha investito come un torrente in piena non è altro che il manifestarsi di un'anomalia di un sistema di produzione giunto ai suoi limiti naturali. E non solo della smania di speculare di pochi eletti. Un'anomalia chiamata capitalismo che ha però anche creato il miracolo economico dell'epoca dei nostri padri e il nostro conseguente benessere materiale. Ora però il miracolo è però diventato l'incubo che abbiamo sotto agli occhi. L'ennesimo crack della finanza globale, con i governi di mezzo mondo proni di fronte al potere incalcolabile della finanza con le  sue enormi quantità di capitale, non può essere identificato unicamente con banchieri e creativi della finanza – geni quando guadagnano e farabutti quando perdono – che hanno intascato per le loro malefatte non solo salari altissimi, ma anche buoniuscita milionari. Questa punta dell'iceberg nasconde in realtà riflessioni, come quella nell'intervista a Fabrizio Fazioli, che oggi i nostri governi non vogliono, loro dicono non possono, affrontare.

Fabrizio Fazioli quale è la sua lettura di questa crisi finanziaria? Da cosa è stata causata?
Parlando della crisi finanziaria che stiamo vivendo oggi si allude sovente alla Grande Depressione del 1929. Ci sono dei parallelismi, tuttavia ci sono degli elementi importanti che contraddistinguono queste due crisi. Nel '29 il problema era una sovraproduzione di beni e servizi che non potevano essere comprati perché la gente non aveva sufficienti mezzi per acquistare la produzione. Ma il margine di manovra della copertura dei bisogni allora era ancora molto ampio. Tanto che John Maynard Keynes aveva tranquillizzato la popolazione dicendo che si trattava di un problema transitorio e aveva assicurato che ci sarebbe stata una ripresa folgorante. Ciò che in effetti capitò. Ci fu la Seconda Guerra Mondiale che segnò una battuta di arresto, ma poi il miracolo economico ci fu e due generazioni hanno vissuto il boom economico. Oggi le cose sono diverse.
Cosa è avvenuto invece questa volta?
Oggi questi bisogni in Occidente sono soddisfatti. Non esiste un margine di manovra come quello che aveva intravisto Keynes. Oggi si commercia moneta contro moneta. Karl Marx l'aveva spiegato molto bene già nel 19esimo secolo: il denaro avrebbe dovuto favorire gli scambi permettendo quella crescita che il semplice baratto non permetteva. Il denaro ha svolto questa funzione ma poi da mezzo è diventato un fine. Ora la moneta viene commerciata con il solo fine di arricchirsi. Abbiamo insomma perso il senso originario della moneta e dell'accumulazione del capitale.
Come si è finanziarizzata l'economia? Perché l'economia è diventata di "carta"?
A quella che era un'accumulazione di capitale della società, attraverso il risparmio della gente, al fine di produrre beni e servizi che arricchivano quella stessa società si è sostituita l'accumulazione monetaria fine a se stessa. In poche mani e pochi gruppi è detenuta una tale quantità di denaro in grado di far impallidire interi Stati. Fuscelli di fronte a questo potere finanziario. Ne abbiamo la dimostrazione sotto agli occhi. E che altro è questa concentrazione di denaro se non l'espressione di un potere? L'esercizio di una pressione al di sopra dei cittadini, delle nazioni e delle leggi.
Esiste quindi una responsabilità di un gruppo di individui oppure si tratta di un problema di sistema economico? È la nostra avidità o il capitalismo che hanno causato il crack?
È un'evoluzione che è iscritta nelle caratteristiche stesse del capitalismo. È chiaro che in un sistema imperfetto esisteranno sempre coloro che riusciranno ad approfittare di questi buchi nelle maglie per trarne vantaggio. L'espressione di questa anomalia è la sottomissione del potere politico al potere economico. Ma non solo, il potere economico oggi è sottomesso al potere finanziario. La finanza ha mostrato di poter tenere in pugno le redini dell'umanità e lo ha fatto con l'abolizione di ogni regola per il proprio campo di gioco. È questo potere che ha imposto il trittico del meno Stato, meno tasse e meno regole in tutto il mondo. Da una visione industriale e economica delle aziende questo potere è passato a una sua visione finanziaria. Le ristrutturazioni non vengono fatte per produrre meglio o di più, ma per fare maggiore profitto. Le priorità sono state modificate.
Quali conseguenze ha questo potere finanziario sulla vita della gente?
Il boom economico con il suo vertiginoso aumento di produttività ridistribuiva una parte della ricchezza con un innalzamento dei salari per i lavoratori, perché oggi stiamo indubbiamente materialmente meglio di 80 anni fa, o con una riduzione dell'orario di lavoro. Dopo il boom ora è un ventennio che questa redistribuzione non avviene più. Abbiamo assistito impotenti a questo degrado del capitalismo. Ora per capire la natura di questa crisi dobbiamo fare un passo successivo: il sistema capitalistico che si nutre del consumo si è inceppato. Questo perché non ci sono stati aumenti di salari e i consumi sono rimasti a livelli precedenti. Ora dalla società del consumo stiamo passando alla società del debito. Perché la reazione a questo fenomeno di mancata redistribuzione dei frutti del capitalismo è stato l'indebitamento della gente. Si pensi semplicemente alle radici di questa crisi: si trovano negli Stati Uniti, un paese che ha un enorme debito sia pubblico che privato. Un paese che vive al di sopra delle sue possibilità, a scapito degli altri. Le famose ipoteche subprime che hanno avviato la miccia del crack finanziario hanno le radici nel debito. Le autorità hanno la responsabilità di aver permesso e facilitato l'accesso al debito. L'hanno fatto tenendo per anni tassi di interesse bassissimi.
Cosa comporta questo eccessivo indebitamento?
La finanza a tassi di interesse vicino allo zero ha dovuto trovare dei rendimenti alternativi, perché alla finanza e alle banche non bastavano più le remunerazioni basate sulla concessione di crediti. Sono stati così creati dei prodotti finanziari a rischio e al limite della legalità. La finanziarizzazione è stata portata al parossismo con titoli spazzatura che sono stati però in grado di attirare enormi cifre di denaro proprio perché promettevano rendimenti maggiori. Abbiamo quindi avuto da una parte una popolazione che si è indebitata e dall'altra una finanza che ha creato enormi bolle speculative su questo debito. Il debito per sua natura deve essere continuamente rilanciato. È difficile per esempio immaginare come l'enorme debito americano possa essere estinto, per cui dovrà essere continuamente alimentato e rinnovato.
Chi perderà da questa crisi?
La prima reazione a questa crisi è stata quella di diminuire nuovamente i tassi di interesse e rimettere liquidità nel sistema. Lo hanno fatto tutti gli Stati. Il problema è che in questo modo si forniscono nuovamente alle banche gli strumenti per continuare ad alimentare questo debito. Il rischio reale è che verrà dunque riproposto il medesimo modello, perché la macchina finanziaria se non oliata prosciuga le sue risorse. Credo che anziché alimentare nuovamente il debito è giunto il momento di aumentare finalmente i salari, questo sempre nella logica di dover aumentare i consumi, altrimenti il sistema si incepperebbe irrimediabilmente
Non esiste alcuna via alternativa?
Questo capitalismo ha  una valvola di sfogo: rilanciare i consumi in quei paesi dove esistono margini di manovra e possibilità di guadagno, ma il male non verrebbe comunque estirpato. Finora ci sono stati timidi annunci di una volontà di coordinamento internazionale. Ma non si è ancora concretizzata l'idea di creare un nuovo sistema monetario, una nuova Bretton Woods.
La nostra economia è quindi destinata al declino?
Credo che piuttosto che di declino economico si possa parlare di declino di civiltà. Parlare di crescita economica tout court è riduttivo, tanto che c'è chi allude ad una decrescita o a una crescita non solo sostenibile, ma molto più felice e umana che ci permetta di vivere meglio. I nostri aumenti di prodotto interno lordo oggi non si accompagnano ad un aumento di benessere. I nostri padri hanno conosciuto questo progresso, noi invece viviamo una involuzione. Keynes prediceva una società che nel 2030 avrebbe permesso all'essere umano di lavorare due ore alla settimana e produrre tutto quello che gli serviva materialmente per poi dedicarsi a cose più nobili. Una predizione che non solo non sembra avverarsi, ma che si fa di tutto per allontanare il più possibile.
Abbiamo delle colpe anche noi?
Il cittadino è colpevole di essersi fatto risucchiare da questa sete di consumo e da questa offerta enorme. Un consumo che non è più basato solo su dei bisogni, ma su beni ludici e effimeri. Siamo attratti da questo consumismo che non porta alla nostra felicità, ma toglie risorse a paesi dove i bisogni primari della popolazione non sono soddisfatti.
Una via percorribile per mettere un limite a questo sistema non sarebbe quello di togliere linfa all'enorme quantità di capitale in circolazione. Non si potrebbe insomma mettere dei limiti alle banche?
Non abbiamo questo genere di alternative. Togliere la linfa significa far morire la pianta. Siamo arrivati all'apice, non sarà domani che moriremo di capitalismo. Dobbiamo nel frattempo trovare delle alternative a questo sistema pernicioso che sembra giunto al capolinea.
Dopo un periodo in cui il capitale e il lavoro hanno potuto coesistere più o meno pacificamente stiamo rischiando di tornare ad un periodo di conflittualità?
Il pericolo esiste, certamente. La globalizzazione ha messo in contatto delle culture e delle economie. Siamo diventati dei vasi comunicanti. La diversità fra diversi gradi di sviluppo non è mai pacifica. Rischiamo un ritorno al medioevo sociale in cui una piccolissima minoranza poteva vivere agiatamente solo perché la stragrande maggioranza era al suo servizio. Questa crisi rischia di acuire le differenze.

Pubblicato il

14.11.2008 01:00
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