Socialità sorella minore

Ha suscitato a giusto titolo sconcerto, indignazione e protesta l'arbitraria decisione della maggioranza del Consiglio di Stato ticinese di dimezzare le competenze della direttrice del Dipartimento cantonale della sanità e della socialità, Patrizia Pesenti. A parte il fatto che ci si può chiedere ancora su quale base legale e soprattutto politica abbia poggiato un colpo di mano di tale portata, il parziale retromarcia che i medesimi Consiglieri “golpisti” si sono imposti ha mostrato il vero volto del loro atto: si è trattato di una bravata, su cui ha però avuto la meglio il buon senso. Ne va dato merito di sicuro anche alla mobilitazione della sinistra e dei media (in Ticino e Oltralpe). Resta tuttavia da considerare l’aggravante della premeditazione, che sembra corrispondere a un disegno politico piuttosto chiaro: «meno Stato, meno tasse, meno abusi nelle assicurazioni sociali». Solo il tempo dirà da che parte stava il torto e da quale la ragione: della scure che recide ed abbatte in maniera lineare, oppure della salvaguardia del sostegno statale a quanti, per diversi motivi, non raggiungono il tanto conteso “ceto medio” (un autentico mito cavalcato con foga dal discorso politico degli anni Novanta)? Al di là dell’evento in sé, che ha già avuto ampi commenti di ben maggiore competenza della mia, un dato merita attenzione, poiché suscita inquietudini ed interrogativi che esigono risposte precise. La necessità di un maggiore rigore nella gestione delle risorse finanziarie del Cantone, in momenti di economia dal fiato corto, comporta quasi inevitabilmente tagli incisivi e misure mirate di contenimento delle spese. Accumulare debiti su debiti per garantire un livello elevato d’investimenti pubblici anche quando le vacche magre hanno ormai divorato le grasse, risulta anche ai non esperti di contabilità e finanza una strada colma d’incognite. Ed è imprudente pesare in maniera eccessiva con delle finanze cantonali (o federali) dissestate sull’esistenza delle future generazioni. La questione di fondo che andrebbe infine verificata è se sgravi fiscali (a favore in particolare delle classi alte d’introiti imponibili) ed amnistie (per quanti hanno denunciato redditi più bassi di quelli effettivamente percepiti) comporti necessariamente il graduale disimpegno statale sul fronte della socialità. Come la mettiamo con il fatto che, alla fin dei conti, se ne assumono le conseguenze negative in particolare quanti sono costretti a beneficiare dell’aiuto sociale? Perché mai la pubblica solidarietà è sovente considerata – alla pari della cultura – come una sorella minore, che talvolta si può maltrattare senza troppo temere denunce penali? Sul piano etico, diventa inevitabile la domanda sulla liceità di sgravi ed amnistie, se a perderci è il grado di bene comune dell’odierna società cantonticinese.

Pubblicato il

14.11.2003 14:00
Martino Dotta