Socialità, la miglior difesa è l'attacco

Doris Bianchi, qual è la sua valutazione della riforma Berset, anche in relazione all'iniziativa Avs plus?
Quello che si può constatare è che molti aspetti di questa riforma erano già conosciuti: non vi sono delle sorprese tra le proposte di Berset. L'aumento dell'età di pensionamento delle donne, per esempio, è oggetto di molte richieste parlamentari. Dunque, anche il Consiglio federale dice qualcosa in merito. Però ho notato che per tutto quanto rappresenta un peggioramento, la riforma proposta da Berset dà delle indicazioni abbastanza concrete; mentre, su tutto quello che è piuttosto un miglioramento, come per esempio alcuni aspetti di flessibilità dell'età di pensionamento, o anche sulle proposte di trasparenza per gli assicuratori privati, la riforma è ancora molto vaga, non stabilisce niente, quindi non ne sappiamo nulla. E questo non ci incoraggia molto per il futuro. Perciò noi riteniamo che sia molto importante avere un progetto "offensivo", come l'Avs plus, che persegua lo sviluppo della socialità.
La riforma Berset parte dal calcolo che dopo il 2020 la situazione finanziaria dell'Avs sicuramente peggiorerà. Le proposte dell'Uss e della sinistra si fondano invece sul "se": se il mercato del lavoro migliorerà, se l'economia crescerà, se ci saranno ancora tanti immigrati stranieri a finanziare l'Avs……
I nostri "se" sono basati sugli stessi calcoli che fa l'amministrazione federale. Ma secondo noi la situazione non sarà così critica già a partire dal 2020: prendiamo in considerazione gli stessi effetti, ma a partire dal 2025/2030. Quello che invece noi chiediamo principalmente è un rafforzamento del primo pilastro, che ovviamente non si può avere gratis: senza aumentare le entrate non funziona. È questa la grande differenza tra le nostre proposte di riforma e il progetto di Berset, che dice sì di fare attenzione a mantenere l'attuale livello delle prestazioni, ma se nello stesso tempo dice di abbassare il tasso di conversione questo livello delle pensioni non può essere mantenuto. E il fatto di mettere più soldi nel secondo pilastro, come si accenna nel rapporto, pensiamo non sia la soluzione migliore per garantire una buona pensione alle persone che hanno stipendi bassi.
Ma, a proposito del secondo pilastro, l'Uss accetterebbe un tasso di conversione minore? Ed eventualmente, a quali condizioni?
Sulla questione del tasso di conversione noi abbiamo chiesto, già dall'anno scorso, un'analisi fatta veramente come si deve. Perché finora queste analisi delle casse pensioni vengono fatte su dei dati molto ambigui. Ci vorrebbe dunque una certa serietà. Ma anche un criterio di proiezione nel tempo. Adesso abbiamo dei problemi di finanziamento delle casse pensioni, però non sappiamo nulla su come queste si svilupperanno tra cinque o dieci anni. E qui, un minimo di ricerca ci starebbe bene, prima di chiedere veramente di abbassare il tasso di conversione. Per noi comunque è chiaro che, in quell'ambito di pensioni per le persone che guadagnano sui 4-5 mila franchi al mese, non possiamo accettare delle pensioni più basse, perché per questa gente significa veramente un passo nella povertà. Certo, se si dovessero trovare dei metodi per cui le pensioni rimanessero veramente ad un livello come quello richiesto dalla Costituzione, allora entreremmo nel dibattito. Per noi, però, il momento non è adatto per discutere di abbassamento del tasso di conversione, perché queste basi di calcolo non hanno la serietà che ci vuole per sostenere una misura del genere, che comporterebbe subito di abbassare le pensioni di più del 10 per cento.
C'è un aspetto della proposta Berset che l'Uss condivide?
Quello di cui siamo contenti  è che questa riforma considera i due pilastri insieme, il che è stata sempre un po' la spinta dell'Uss. Questo è positivo. Attualmente siamo in un periodo nel quale vediamo dei gravi problemi nel sistema di capitalizzazione del secondo pilastro. E sono problemi che non possiamo risolvere senza l'aiuto del primo pilastro. Per questo noi diciamo che occorre un altro bilanciamento, un equilibrio che possa poggiare di più sul primo pilastro. E questo lo possiamo fare solo se abbiamo un progetto di riforma che guardi ad entrambi i pilastri.
In questa prospettiva, non si potrebbe allora lasciare alla riforma Berset il compito di migliorare le condizioni finanziarie dei due pilastri, per poter poi chiedere prestazioni più alte quando le basi saranno risanate e più solide?
Fare progetti sul quando è sempre difficile. Secondo noi, la necessità c'è ora, non tra vent'anni: abbiamo bisogno di migliorare le rendite adesso. E poi, quello dell'Avs è un sistema di ripartizione che può funzionare immediatamente.
Dunque, la differenza è che la sinistra chiede il miglioramento delle pensioni adesso, mentre i partiti borghesi pensano a consolidare il sistema della previdenza in vista dei cambiamenti demografici, l'invecchiamento della popolazione, l'allungamento della speranza di vita…
Sì, questa è la grande differenza. Noi non crediamo che si possa stabilizzare un sistema riducendolo, perché questo creerebbe nuovi problemi: pensioni troppo basse, permanenza sul mercato del lavoro troppo a lungo (e senza che vi siano posti per tutti). Bisogna invece avere il coraggio di chiedersi quale sistema vogliamo, quale livello di pensioni vogliamo, e di optare per un sistema forte: questo è anche lo scopo della nostra iniziativa Avs plus. Inoltre, importanti nella nostra visione globale dei due pilastri sono le questioni legate all'età del pensionamento. Finora si guardavano solo in relazione al primo pilastro, ma è importante vederle anche nell'ambito del secondo pilastro. E questo trovo che sia un approccio positivo, perché se si dovesse aumentare l'età di pensionamento, ciò avrebbe forti conseguenze anche sul finanziamento del secondo pilastro e sul tasso di conversione, con l'effetto di ridurre la pressione in questo ambito.
Allora, tra l'iniziativa Avs plus e questa proposta di riforma Berset, nei prossimi anni salirà il confronto politico su questi problemi.
Credo di sì. Però, se guardo indietro a 10-15 anni or sono, trovo che il discorso era molto più duro, si diceva che le pensioni sono troppo alte o che si deve lavorare fino a 67 anni. Adesso, penso che anche nei partiti borghesi si abbia un altro concetto: non noto più questa discussione sulle pensioni che sarebbero troppo alte.
Anche per quanto riguarda l'età pensionabile delle donne, lei non pensa che sia cambiata anche la sensibilità generale nell'opinione pubblica, per cui la parità dell'età di pensionamento oggi sia più accettata?
Penso di sì. Noto anch'io un certo cambiamento, che non ha nulla a che vedere con la situazione del pensionamento. È una discussione alimentata in molti ambienti associativi maschili, dove si lamenta che le donne hanno molti vantaggi. Un discorso che poi trova una forte risonanza nei media svizzeri. Una cosa, questa, che è molto strana perché non rispecchia la situazione e le necessità attuali. La differente età di pensionamento incontra un sostegno minore che anni or sono.
Il sindacato continuerà a sostenere questa differenza, o alla fine si piegherà all'opinione pubblica prevalente?
È chiaro che noi sosteniamo questa differenza, perché è una necessità per le donne. Abbiamo constatato che, con l'età, molte donne hanno più difficoltà degli uomini a rimanere sul mercato del lavoro; e poi c'è un grande divario tra le pensioni, che per molte donne sono di parecchio inferiori a quelle degli uomini. Alzare l'età di pensionamento delle donne significa quindi fare dei risparmi a carico delle donne. E allora noi non ci stiamo.

Pubblicato il

07.12.2012 02:30
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