Socialità fuori dall'agenda di governo

Moody’s aspetta l’esito delle consultazioni prima di dare i voti all’Italia. In poche parole, o il segretario del Partito democratico (Pd) Pierluigi Bersani raccoglie una maggioranza per governare, oppure saranno dolori. Con il verbo “governare” l’agenzia di reating intende una cosa sola: continuare l’opera antisociale avviata dal governo Monti e obbedire ai diktat della troika europea.

 

Chiunque governi, dovrà stare a un gioco e a un’agenda i cui redattori lavorano nell’Olimpo neoliberista. In questo contesto, il segretario del Pd deve fare i conti con due difficoltà: un mandato sostanzialmente blindato ricevuto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano che pretende una maggioranza definita, precostituita e che non sia a geometria variabile, raccolta in Parlamento, come capitava ai tempi della prima e seconda Repubblica; un consenso popolare suddiviso in tre spicchi di dimensioni analoghe e una maggioranza parlamentare assoluta del centrosinistra alla Camera, ma non al Senato. Mentre scriviamo è in corso il confronto tra Bersani e l’Alien che ha invaso il nostro Parlamento, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, mentre cresce di intensità la campagna acquisti lanciata da un gruppo di intellettuali che si propongono nella veste di pompieri tra il Pd e il M5S. L’appello ufficiale è “assumetevi le vostre responsabilità, non impedite il varo di un governo della riforme”, anche se sarebbe sufficiente che un gruppo di grillini uscisse dall’aula per abbassare il quorum e dunque consentire a Bersani di passare la nottata e avviare un governo con nomi di rilievo della società civile, finalizzato a fare qualche riforma ineludibile come quella elettorale, e poi eventualmente tornare al voto.


Una maggioranza a geometria variabile, oltre a non convincere Giorgio Napolitano incontra resistenze all’interno dello stesso Pd: ciclicamente tornano a cantare le sirene dalemiane dell’“inciucio” con Berlusconi, che per fortuna e almeno per ora Bersani rifiuta di prendere in considerazione. Quest’ipotesi, infatti, sarebbe foriera di due eventi contemporanei: la crisi verticale del Pd e un nuovo boom del movimento di Grillo. Eppure, la situazione sembra in movimento anche a destra, dove i berlusconiani oscillano tra dottor Jakyll e mister Hyde, alternando manifestazioni di dubbia legittimità costituzionale davanti al Tribunale di Milano alle offerte al Pd di un accordo di governo. C’è chi punta su un accordo a termine con la Lega di Maroni, chi invece punta a un gruppo di parlamentari meridionali che lo stesso Berlusconi potrebbe “prestare” a Bersani. E che andrebbero a sommarsi ai pochi senatori centristi sopravvissuti alla sconfitta del professor Monti alle elezioni.


Purtroppo, però, l’unica cosa che manca in questa nostra nota politica italiana è un’agenda di governo incentrata sulle priorità sociali. Con Grillo è più facile per Bersani trovare una via d’uscita su un programma basato sul taglio dei costi della politica, che non sul ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e il varo di una legge che regoli la rappresentanza sindacale. Per Grillo i sindacati sono soltanto casta, vanno aboliti e per una parte del M5S la riduzione dei diritti sociali non è un problema insormontabile se serve a varare un reddito di cittadinanza da 1.000 euro al mese.


Dall’altro lato, con Berlusconi l’unico terreno di accordo possibile riguarda l’elezione prossima ventura del nuovo presidente della Repubblica, essendo in scadenza in settennato di Napolitano. La mancata centralità dei temi sociali è ancora più grave se si tiene conto della precipitazione della crisi economica, l’esplosione della disoccupazione, la precarietà del lavoro sopravvissuto, il disfacimento della rete di piccolissime, piccole e medie imprese che sono il tessuto connettivo della nostra economia, sia sul versante produttivo sia su quello commerciale. I fondi per la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori sociali si stanno esaurendo, con il rischio di un ulteriore e non più sostenibile aumento della disoccupazione. Mentre il welfare italiano si è ristretto come una maglia di pessima qualità dopo il primo lavaggio. La lotta alla casta è fondamentale, ma senza un progetto socialmente ed ecologicamente compatibile l’Italia non ha futuro. Con o senza casta.

 

Pubblicato il

27.03.2013 22:08
Loris Campetti