Socialità: agire, riflettere, confrontarsi

Rendere ragione del proprio operare, come ente umanitario attivo negli ambiti della disoccupazione, della migrazione e della precarietà, è lo scopo primario di questo spazio redazionale. Intervenire nel dibattito pubblico e privato sulla socialità è il secondo motivo ispiratore delle considerazioni che seguono. Poiché si sa che l'azione in sé non basta, se non è puntualmente accompagnata dalla riflessione su quanto si cerca di realizzare (per iniziativa propria o su mandato di terzi, poco importa) e dal confronto sereno con posizioni diverse e, talvolta, persino opposte. Alla base di questa nostra operazione sta la volontà di contribuire, secondo le specifiche competenze acquisite da Sos Ticino in oltre cinque lustri di lavoro nel Cantone, ai cambiamenti di mentalità ed agli adattamenti strutturali che s'impongono nell'attuale momento sociale e politico. È quindi nella consapevolezza di essere un tassello significativo nel complesso mosaico dell'intervento a favore delle categorie di popolazione più deboli o sfavorite che si tratta di soffermarsi e di proporre soluzioni realiste ed eque alle diverse forme contemporanee del disagio sociale.

È purtroppo da tempo che, in particolare in Ticino, come pure in Svizzera nel suo insieme, il campo della socialità (con quello dell'educazione e della cultura, cioè quei luoghi dell'agire statale maggiormente soggetti ai mutamenti d'umore della collettività) è diventato un terreno di battaglia ideologica, più che di discussione lucida e costruttiva. Se si parte, ad esempio, dal presupposto che quanti si trovano in condizioni difficili (a causa della perdita del posto di lavoro, dell'immigrazione in un paese straniero o di problemi finanziari in genere) ne sono gli unici responsabili, è chiaro che si esigerà un intervento di sostegno (pubblico o privato) minimo. Se non si giungerà a negare in assoluto il diritto ad adeguati puntelli collettivi (nonostante qualche colpo di testa che si manifesta qua e là, gli svizzeri danno solitamente prova di buon senso), nondimeno si cercherà d'imporre limiti stretti all'impegno sociale. Il risultato di simili posizioni è sovente di mantenere (pur dichiarando un'intenzione diametralmente opposta) nella precarietà chi già fatica a giungere alla fine del mese e a fare fronte a tutte le necessità poste da costi della vita oggettivamente elevati nel nostro Paese. Dall'altro lato, quasi più nessuno chiede misure assistenziali erogate a larghe mani e con criteri estremamente generosi (l'accusa, non di rado faziosa e pertanto scorretta, spesso rivolta dalla destra liberista alla sinistra), poiché è risaputo che ciò produrrebbe l'esatto contrario di quanto auspicato: una dipendenza permanente dall'aiuto sociale.

Come ovunque, l'equilibrio sta nel mezzo. Anche alla socialità è domandata una sempre maggiore flessibilità e la capacità di adattarsi, come un abito al corpo, alle mutevoli esigenze del tempo. Non possiamo però rinunciare a chiederci quale forma di società vogliamo e con quali mezzi desideriamo costruirla – insieme, svizzeri o immigrati che siamo.

Pubblicato il

06.06.2008 12:30
Martino Dotta
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