Sobrietà e fiducia

Diciamocela chiara: ti chiedono la sobrietà e sarà anche giusto; ti sbiadiscono o ti tolgono la fiducia e non solo è un controsenso.
Sobrietà, che sembrava parola cancellata o impropriamente associata a penuria o povertà, è riapparsa come imperativo politico: se non saremo sobri (in consumo di elettricità, ad esempio) passeremo tempi grami. C’è chi ha trovato che la decrescita di fatto impostaci (si dà per certo che si avrà un minore prodotto interno lordo) è uno scossone salutare all’utopia della crescita senza limiti e può essere l’occasione salutare per risistemarci sia modo di  pensare che di essere.

 

È difficile ritenere che siamo arrivati a tanto acume; non si può ignorare che la sobrietà sia emersa come conseguenza imposta da una situazione di crisi. Attanagliati però a un’economia in cui la condizione per esistere è il sempre maggior consumo, d’ogni bene e servizio, la sobrietà, anche se accettata come rimedio provvisorio, è sempre percepita come un non-senso. Mentre il maggior consumo rimane non solo il ritorno alla normalità, ma una sorta di obbligo etico che si traduce in sviluppo umano, benessere per tutti, creazione di lavoro e reddito da spendere. Quindi, non facciamoci illusioni che la sobrietà diventi autocritica umana prima ancora che sociale. Pensando anche che la sobrietà (la cui etimologia deriva da “non-ebbro”, presuppone quindi un’avversione all’eccesso) è tocco di piuma per chi già eccede, è brutto scherzo sociale per chi è scarso.


La fiducia non è forza discreta e persino misteriosa o segno di fede nell’avvenire, come la si vuol far passare spesso, ma è ingrediente indispensabile alla vita sociale. Un economista, premio Nobel (Kenneth Arrow) la definiva “istituzione invisibile”, con il forte potere di nutrire e sostenere la sociabilità umana, al centro di ogni contratto sociale. Questo prezioso integratore politico ed economico è diventato sempre più raro, tanto che altri hanno scritto che siamo nella “società della sfiducia”. E sembra paradossale perché senza la fiducia non porteresti i tuoi risparmi in banca o non li affideresti a una assicurazione, non metteresti nelle mani di pochi eletti il destino politico del tuo paese, non ti rivolgeresti ai magistrati per ottenere giustizia, non ricorreresti al medico per riprendere la salute. Dare fiducia, poi, è anche scommettere, alle volte persino contro te stesso, che alla fine tutti avranno un comportamento collaborativo, per il bene comune.


A dar mano alla “società della sfiducia” ci pensano soprattutto certi capintesta di alcuni partiti, o la politica in generale o alcuni nostri governanti. Basterebbero pochi esempi per dimostrarlo.


Vieni a proporre la sobrietà come necessario atteggiamento comune per far fronte a una crisi e contemporaneamente non muovi dito per la  spirale in atto prezzi-profitti e quindi alle cause strutturali dell’inflazione (che non si dominerà con l’aumento del costo del denaro); svendi fiducia ai soliti capienti o alle multinazionali proponendo ancora sgravi fiscali o eliminazione di giusti tributi a chi fa grossi guadagni su compravendita di titoli e colpisci malamente le donne per finanziare l’Avs; comperi gli aerei da guerra F-35A con la fiducia di 70 esperti del dipartimento militare che hanno detto che tecnicamente funzionano e ignori la fiducia dovuta a una commissione parlamentare per la quale si doveva andar oltre la tecnica o il vassallaggio americano o la fiducia dovuta ad oltre 120mila cittadini che chiedevano dapprima una votazione popolare.

Pubblicato il

15.09.2022 16:29
Silvano Toppi