Storia di classe

“E adesso che il capitalismo vi ha salassati, decimati, umiliati, le classi dominanti esigono che voi rinunziate alle vostre rivendicazioni, che abdichiate al vostro ideale socialista e internazionale. […] Ma i partiti socialisti e le organizzazioni di alcuni paesi [...] sono venuti meno ai doveri che esse loro imponevano. I loro rappresentanti hanno indotto il proletariato ad abbandonare la lotta di classe […]. Essi hanno mandato al potere borghese dei ministri socialisti, come ostaggi per il mantenimento dell’«unione sacra».
Manifesto di Zimmerwald, 5-9 settembre 1915.

Secondo il Dizionario storico della Svizzera, la storiografia del nostro paese definisce lo sciopero generale del 1918 come “la più grave crisi politica dello stato federale”.
Nel 1918 in Svizzera non esiste alcuna protezione sociale. 700 mila persone dipendono dalla carità pubblica e la settimana lavorativa è di 65 ore.
La neutralità tanto decantata durante la Grande Guerra si manifesta all’interno del paese in modi diversi. Il difficile accesso ai beni alimentari che impoverisce gli operai comincia a fare la fortuna dei grandi contadini più agiati.


È in questa congiuntura difficile che si organizza la protesta e che gli iscritti al movimento sindacale e al partito socialista aumentano in modo esponenziale.
Partito socialista e movimento sindacale: Robert Grimm incarna entrambe queste realtà. Grimm era figlio di operai, fra i principali organizzatori delle conferenze di Zimmerwald e di Kienthal, quelle stesse conferenze che condannarono, da una posizione minoritaria, il tradimento operato dai partiti socialisti europei, coalizzati nella sacra unione a favore della guerra.


Robert Grimm fu anche il principale ideatore del Comitato di Olten che, composto da socialisti e membri dell’Unione sindacale svizzera, fu all’origine dell’unico sciopero generale nella storia del nostro paese. Fra i punti redatti dal comitato figuravano due capisaldi delle rivendicazioni sindacali dell’epoca: l’introduzione dell’Avs e l’uguaglianza politica fra donna e uomo.


In Svizzera come altrove, dirigenti sindacali, socialisti e operai dimostravano che le conquiste sociali del movimento operaio si ottengono con la lotta e con il perseguimento di una politica concreta e coerente.
Un secolo più tardi l’Unione sindacale svizzera e il Partito socialista (salvo meritevoli quanto sporadiche eccezioni), nelle loro azioni e nei loro argomenti prestano il fianco a quel terrorismo padronale che da troppo tempo grava sulla realtà politica svizzera: se non accettiamo le sberle oggi, avremo i calci in bocca domani. E quindi continuiamo a ripeterci che in fondo le sberle hanno dei lati positivi e rappresentano un compromesso accettabile. Dimentichiamoci l’Abc dei valori sindacali e proviamo a vendere l’aumento dell’età di pensionamento delle donne e una diminuzione complessiva delle pensioni come un male necessario.
Oppure no. Oppure smettiamo di essere ostaggi per ridiventare protagonisti. Esigiamo l’uguaglianza, lavoriamo tutti, lavoriamo tutti e di meno. Convinti che le conquiste sociali del passato potranno essere difese solo con la lotta e la coerenza.

Pubblicato il 

13.09.17
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