Sindacati in coro: bilaterali sì

È un compito molto difficile, quello che attende i sindacati. Forse più difficile di quanto i loro dirigenti si aspettassero. È infatti con una certa preoccupazione che l’Unione sindacale svizzera (Uss), insieme a Travail Suisse (i sindacati d’ispirazione cristiana), alla Società svizzera degli impiegati di commercio (Sic Svizzera) ed all’Alleanza delle associazioni di lavoratori (Conferenza di Ebenrain), hanno aperto la campagna referendaria in vista della votazione del 25 settembre prossimo sull’estensione della libera circolazione delle persone ai dieci nuovi paesi membri dell’Unione Europea (Ue). La preoccupazione è dettata dal fatto che – come ha ammesso lo stesso presidente dell’Uss, Paul Rechsteiner – «numerosi sindacalisti sono scettici». È uno scetticismo dettato dalla sfiducia per il comportamento dei vertici dell’economia, che nonostante gli utili crescenti continuano a sopprimere posti di lavoro. Resta però il fatto che nelle prossime quattordici settimane i sindacati dovranno produrre ragioni molto convincenti per non lasciare che la base si scoraggi e non vada a votare, o voti addirittura contro la libera circolazione delle persone. Gli argomenti che saranno utilizzati a tale scopo sembrano essere sostanzialmente due: quello economico, ovvero degli stretti rapporti d’interessi ormai consolidati tra la Svizzera e l’Ue; e quello delle misure d’accompagnamento contro il dumping salariale, che porteranno vantaggi ma vanno applicate con la collaborazione di tutti. La Svizzera è economicamente legata all’Ue; e l’allargamento dell’Ue è una realtà. L’estensione della libera circolazione ai nuovi membri dell’Ue è una conseguenza logica dei primi accordi bilaterali approvati dal popolo. La Svizzera non può permettersi di fare distinzioni tra europei di prima ed europei di seconda classe. «Chi fa credere che in futuro i salari diminuiranno automaticamente» – ha affermato Paul Rechsteiner riferendosi al consigliere federale Christoph Blocher che l’aveva detto davanti al Parlamento – «prende la gente per stupida». Il prodotto sociale lordo non può infatti ridursi se non crolla l’economia; e gli accordi bilaterali sono stati stipulati proprio per garantire il futuro economico della Svizzera. All’estensione della libera circolazione delle persone si affianca un rafforzamento della protezione dei lavoratori, grazie all’obbligatorietà generale dei contratti collettivi di lavoro. Inoltre, la possibilità d’imporre minimi salariali legali ed i controlli delle condizioni di lavoro attraverso gli ispettori del lavoro, sono conquiste sostanziali. Questa nuova protezione dei lavoratori migliora la posizione dei salariati nella lotta contro la pressione sui salari e per l’incremento dei redditi. «Il pericolo del dumping salariale, è una realtà. Ma questa pressione può essere combattuta», ha detto Rechsteiner. «Le nuove disposizioni non sostituiscono certamente la lotta dei sindacati per il miglioramento dei salari. Ma è un bene che le leggi obblighino lo stato a contrastare il dumping salariale». La lotta contro il dumping salariale è anche lotta alla disoccupazione. Il presidente dell’Uss ha portato l’esempio del Lussemburgo, paese piccolo aderente all’Ue, con un alto livello salariale e disoccupazione relativamente bassa. Vi si trova anche una parte importante di lavoratori stranieri e di frontalieri. Il Lussemburgo applica da lungo tempo la libera circolazione delle persone nell’ambito dell’Ue, unitamente all’imposizione di salari minimi garantiti dai contratti collettivi di lavoro e con l’impiego di un adeguato numero di controllori. Questa è dunque una ricetta che funziona, come dimostrano anche i paesi scandinavi dell’Ue ed i loro successi economici. Al contrario di come viene prospettato dai fautori del no, la disoccupazione sarà quindi stabile o aumenterà se verrà respinta l’estensione della libera circolazione. «Il risultato dei negoziati, nel clima politico attuale, è del tutto accettabile. Lo stesso vale anche per il periodo transitorio fino al 2011 negoziato con l’Ue, che ci permette di reagire ad eventuali nuovi problemi che dovessero sorgere nel frattempo. Non pensiamo che, in caso di vittoria del no, sarà possibile conseguire con la “nuova” Ue questo medesimo risultato ottenuto con la “vecchia” Ue», ha concluso il presidente dell’Uss. Considerazioni molto simili sono state fatte anche dagli altri sindacati che compongono il comitato “per la libera circolazione delle persone unita a misure di protezione”. Per Alexander Tschäppät, presidente di Sic Svizzera, un no il 25 settembre rimetterebbe in questione tutto quanto di buono finora è stato conseguito percorrendo la via degli accordi bilaterali con l’Ue. Hugo Fasel, presidente di Travail.Suisse, ha sostenuto che un sì renderebbe più sicuri i posti di lavoro e rafforzerebbe gli strumenti di sorveglianza del mercato del lavoro. Un no aumenterebbe invece il rischio di dumping salariale e sociale ed avrebbe anche conseguenze negative sulle esportazioni. E Beat Zemp, presidente della Federazione degli insegnanti e della cosiddetta Conferenza di Ebenrain che raccoglie associazioni di dipendenti pubblici (insegnanti, infermieri, poliziotti, ecc.), ha sottolineato l’importanza di questa votazione per l’economia e per l’occupazione. «Ci sarà un rafforzamento della protezione dei lavoratori, attraverso gli ispettori del lavoro e con le norme di protezione nel campo degli occupati “temporanei”». Questa, secondo Paul Rechsteiner, è una buona ragione affinché i cittadini votino sì il 25 settembre. Conclusa la conferenza stampa, al presidente dell’Uss viene ancora chiesto di precisare e completare alcuni concetti. «L’estensione dell’Ue è un fatto; la Svizzera ha bisogno di rapporti stabili con l’Europa; e le esportazioni dipendono da tali rapporti (un franco su quattro viene guadagnato con l’export). Se diciamo no alla libera circolazione con i nuovi paesi dell’Ue, non possiamo immaginare che poi questi approveranno la loro discriminazione». Ma i lavoratori qui temono soprattutto il dumping salariale e sociale. Certo, Rechsteiner si mostra fiducioso che con le nuove disposizioni lo stato (cioè in pratica i cantoni) applicherà realmente le misure per la difesa dei salari e delle condizioni di lavoro. Tuttavia la stessa base sindacale mostra di non crederci molto. «I sindacati hanno detto sì in seguito ad un lungo dibattito democratico. Per noi non è stato facile: abbiamo dovuto esaminare attentamente la situazione ed elaborare proposte per rafforzare la protezione dei lavoratori. Il sì è dunque ampiamente sostenuto dalle federazioni sindacali». Anche in Ticino, dove la sezione di Unia è per il no? «La sezione ticinese di Unia aveva fatto valere democraticamente le ragioni del no nell’ambito del dibattito interno ma è stata messa in minoranza. Il sindacato pensa infatti che il tentativo di dividere i lavoratori in funzione del loro passaporto sia una battaglia di retroguardia che indebolisce gli interessi dei salariati. Oggi sarei sorpreso se Unia Ticino conducesse una propria campagna per il no». Ciò nonostante lo scetticismo che serpeggia nella base non sembra trascurabile. «Lo Scetticismo è un fatto», ammette Rechsteiner. «La sfiducia rispetto a determinati comportamenti nell’economia è enorme. La pressione sui salari è da molti anni una realtà, come pure la pressione sulle condizioni di lavoro. Noi lottiamo contro tutto questo. E le nuove misure previste con l’estensione della libera circolazione delle persone creano migliori condizioni e contribuiscono a rafforzare le possibilità nella lotta contro il dumping salariale». Il presidente dell’Uss riconosce tuttavia che «lo strumento legislativo non basta». In altre parole, occorrerà darsi da fare anche individualmente. Per esempio, utilizzando lo strumento messo a disposizione sul sito internet dell’Uss (www.sgb.ch) per «confrontare i salari in uso in una determinata regione per una determinata categoria professionale a seconda dell’esperienza e della formazione della persona interessata».

Pubblicato il

17.06.2005 01:00
Silvano De Pietro