Gli esami delle mie figlie mi hanno costretto, contrariamente agli altri anni, a rimanere a casa quando molti di noi godono le vacanze in terre più o meno lontane. Così mi godo la lettura dei giornali con maggior tempo a disposizione e posso approfondire e confrontare. Mi ha sorpreso il comunicato con cui l’Unione sindacale raccomanda alla classe padronale di accedere alle proprie proposte di aumento salariale, facendo leva sull’argomento che così si aumenterà anche la disponibilità della popolazione al consumo e si contribuirà ad una ripresa economica che tutti non possono che salutare con piacere. Confesso che l’argomento dell’aumento del consumo mi abbia alquanto sorpreso poiché inabituale sulle labbra di sindacalisti ed abbastanza lontano dalla tradizione del movimento operaio. Certamente molte cose sono cambiate nell’arco degli ultimi decenni ed il lavoro sindacale si è adattato ai cambiamenti della società del lavoro così come esso si configura nelle società postindustriali. Da un punto di vista etico però ci si può chiedere se l’argomento dell’aumento del consumo sia il più pertinente. Esso suggerisce indirettamente l’idea che la forma di produzione capitalista sia definitiva e che al massimo si tratta di spartire in maniera più equilibrata i beni guadagnati, in modo che anche chi nel processo lavorativo si trova in basso alla scala possa avere qualche briciola in più, purché il loro consumo su una quantità grande di attori possa essere fattore di crescita per tutto il sistema economico. Dai sindacati mi sarei aspettato questo argomento, unito però anche ad altre considerazioni più vicine alla tradizione cui essi giustamente si rifanno. Così mi sembra maggiormente importante far accedere al consumo la popolazione del terzo mondo che non ha alcun mezzo di poterlo fare. Avrei anche atteso qualche considerazione sulle delocalizzazioni che fanno maggiormente discutere: quella ad esempio che porta a dislocare parti della produzione in Paesi come la Cina. Se davvero questa dislocazione è inevitabile, allora bisogna investire in formazioni nuove nei nostri Paesi, in modo che chi lavora qui abbia maggiori chances di poter trovare nuovi tipi di impiego da noi. Insomma: l’“ecumenismo” dei sindacati nei confronti degli ambienti padronali mi sta anche bene, ma solo se esso è legato ad una riflessione globale che riformula quelli che sono i veri interessi di chi sta in basso nel mondo della produzione economica. Sennò si tratta solo di un’affermazione di compiacimento che non dura a lungo. Se non vogliamo togliere dal cassetto il “sol dell’avvenire”, pensiamo perlomeno in termini di maggiore giustizia.

Pubblicato il 

02.09.05

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