Siluri contro il primo pilastro

L’appuntamento è per sabato 20 settembre a Berna. “Giù le mani dall’Avs! Le nostre pensioni non si toccano”, è lo slogan adottato per la grande manifestazione organizzata dai sindacati. L’obiettivo è di impedire «il colpo di stato in ambito sociale di Couchepin e compagnia». Di impedire, cioè, che attraverso l’undicesima revisione dell’Avs il parlamento avalli il sistematico indebolimento del primo pilastro della previdenza sociale. Altrimenti, ha avvertito ripetutamente la sinistra, lanceremo il referendum. In effetti, mentre fino alla metà degli anni Settanta le varie revisioni della legge sull’Avs tendevano a sviluppare ed ampliare il sistema, il meccanismo ha cominciato ad invertire la rotta con l’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne da 64 a 65 anni, e con misure di finanziamento basate più su tagli e risparmi che su nuove entrate. La tendenza è preoccupante perché minaccia la centralità dell’Avs nel sistema previdenziale svizzero, e ne mette a rischio il principio di solidarietà rafforzandone quello puramente assicurativo. Tale tendenza si è rivelata in tutta la sua pericolosità con il tentativo di introdurre la flessibilizzazione dell’età pensionabile (pensionamento anticipato) senza una sufficiente attenzione sociale per chi, con un reddito basso, è costretto – per chiusure di aziende, ristrutturazioni o motivi di salute – a mettersi a riposo. Si aggiunga l’intenzione di incidere direttamente sulle prestazioni, cioè di aggravare ed accelerare la tendenza delle rendite a crescere in misura minore rispetto all’evoluzione generale dei salari (in futuro, quindi, la rendita rappresenterà una percentuale sempre più bassa del salario precedente). In concreto, la controversia gira fondamentalmente intorno a questi due capitoli della riforma: il pensionamento flessibile e il livello delle prestazioni. Considerato ormai acquisito l’innalzamento graduale dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, ora l’attenzione è tutta concentrata sulla possibilità del pensionamento anticipato. Certo, se si va in pensione prima del termine legale non si può pretendere una rendita uguale a quella che sarebbe normale a 65 anni. Ma la riduzione, se calcolata soltanto in base a criteri matematici puramente assicurativi, sarebbe troppo onerosa per chi ha già un reddito basso. Negli oltre due anni che il parlamento sta discutendo l’undicesima revisione dell’Avs, la sinistra ha tentato di far passare un’attenuazione della riduzione delle rendite anticipate, che sarebbe costata circa 800 milioni di franchi l’anno. Il governo ha fatto una sua controproposta, per circa 400 milioni, che è passata al Nazionale. Nonostante l’abbassamento della pretesa della sinistra a 600 milioni, gli Stati hanno invece tenuto duro su una “soluzione zero”, cioè su un pensionamento anticipato possibile ma senza agevolazioni per chi, con un reddito basso, non dispone di altre entrate integrative. Alla sinistra questa tendenza non piace affatto. Anche perché un prezzo piuttosto alto è già stato pagato con l’aumento dell’età del pensionamento delle donne e con misure riduttive sulle rendite di vedovanza. Il Pss ha chiaramente fatto capire ai democristiani che se continueranno ad appoggiare Prd e Udc in questa battaglia, ne pagheranno le conseguenze al momento del rinnovo del Consiglio federale (all’inizio di dicembre). Il Pss ha anche minacciato il referendum, su questa questione del pensionamento anticipato. E lo stesso ha fatto l’Unione sindacale svizzera, che ritiene esagerati gli allarmi sul finanziamento dell’Avs. In effetti, tutte queste manovre dei partiti borghesi vengono giustificate con la previsione che a medio e lungo termine il finanziamento dell’Avs non sarà più garantito. Motivi: il progressivo aumento degli anziani, la corrispondente diminuzione della parte attiva della popolazione, la sempre più lunga durata media della vita. L’Avs dovrà quindi sborsare più denaro di quanto ne incasserà. Questa tesi è parzialmente contestata dalla sinistra, in particolare dall’Uss, secondo la quale il primo pilastro è meno fragile di quanto si voglia far credere. Ma secondo il Dipartimento federale dell’interno, solo a partire dal 2040 le spese dell’Avs cominceranno a scendere per l’effetto a lungo termine dell’adeguamento parziale all’indice misto. Che cosa vuol dire? Vuol dire che se la rendita deve rappresentare il 60 per cento del salario, adeguandola di anno in anno soltanto all’inflazione dopo un po’ sarà meno di quel 60 per cento, perché nel frattempo i salari sono aumentati anche in termini reali e non soltanto per l’effetto del rincaro. L’adeguamento dovrebbe quindi avvenire in base all’indice del rincaro e all’indice dei salari (indice misto). In realtà questo adeguamento avviene per intero rispetto all’inflazione, ma solo per metà di quanto richiederebbe l’indice dell’evoluzione dei salari. Questo significa che col tempo le rendite Avs hanno un valore nominale sempre crescente, ma rappresenteranno una percentuale sempre più bassa rispetto al salario di riferimento. Per i partiti borghesi questa tendenza però non basta. Non solo vogliono che il pensionamento flessibile avvenga senza alcun ammortizzamento sociale, ma per ridurre ancor di più le prestazioni vogliono che dal 2005 venga sospeso l’adeguamento all’indice misto. E tutto questo, per evitare di dover ricorrere a qualche significativo aumento dell’Iva oltre quel modesto uno per cento che, neanche per intero, dal 1999 viene destinato all’Avs. Le ultime mosse di questo gioco complesso non fanno presagire nulla di buono per la sinistra. Nella commissione del Nazionale che si sta occupando del programma di risparmi della Confederazione, Christoph Blocher ha formulato una specie di ricatto: l’indice misto per l’adeguamento delle rendite potrà essere mantenuto a partire dal 2006, se in questa sessione autunnale del parlamento il Nazionale rinuncia ai 400 milioni di ammortizzamento del pensionamento anticipato. Il Pdc, che teme di perdere una poltrona in Consiglio federale, ha fatto un passetto in direzione del Pss: propone che per le donne il tasso di riduzione delle rendite anticipate sia pari alla metà di quello applicato per gli uomini: la spesa si ridurrebbe così da 400 a 244 milioni. Ma il Pss è ancora critico verso il Pdc, per il fatto che in questa proposta non c’è criterio sociale, dal momento che ne beneficerebbero anche le donne con redditi alti. Potrebbe però essere una base di compromesso tra i partiti borghesi. Resta da vedere se anche il Pss e l’Uss l’accetteranno. La condizion del referendum: una sinistra unita La corda è tesa al massimo. La presidente del gruppo parlamentare socialista, Hildegard Fässler, ha definito il lavoro della commissione «dominato dalla volontà dei partiti borghesi, che non vogliono mollare. L’interesse generale non è più il tema di fondo, poiché la destra è prigioniera delle sue irresponsabili promesse di politica fiscale». Ormai è chiaro che se l’undicesima revisione dell’Avs non avrà riguardo verso chi è socialmente svantaggiato, si andrà allo scontro politico e sociale. Che nel caso specifico significa un referendum per impedire a questa riforma del “primo pilastro” di entrare in vigore. Ma a quale prezzo? Si può parlare di prezzo in senso stretto: basteranno i 244 milioni di aiuto al pensionamento anticipato offerti dal compromesso del Pdc? O il Pss non accetterà comunque di scendere sotto i 400 milioni? O non basteranno neppure questi? Ma si può anche parlare di prezzo in senso politico: siamo sicuri che questa volta i cittadini elettori voteranno a maggioranza un tale referendum? Non potrebbe, in una situazione d’insicurezza generale e di difficoltà finanziarie, risultare più convincente l’argomento degli avversari secondo cui è meglio fare oggi qualche sacrificio per non compromettere il futuro dell’Avs? La questione di fondo, insomma, è se valga o meno la pena di rischiare un’altra sonora sconfitta. O meglio, se valga la pena combattere una battaglia indipendentemente dal suo esito, tanto per “sensibilizzare l’opinione pubblica” su un determinato tema. Naturalmente, la risposta non si trova in un limite di 400, di 800 o di zero milioni a disposizione del pensionamento anticipato, ma nella compattezza e nella determinazione che la sinistra, tutta la sinistra, sarà capace di mettere in campo in questa difficile battaglia. In altre parole, vale la pena andare sino in fondo soltanto se si costituirà un ampio fronte a sostegno del referendum, tale da offrire buone garanzie di successo. Ciò significa che ci vuole chiarezza all’interno della sinistra. Nessuno sa ancora se e da chi sarà lanciato il referendum, quando potrebbe essere deciso, per quali motivi e con quali scopi. Le risposte devono venire dal Pss e dall’Uss. Ma potrebbero venire anche dal successo e dalla risonanza che avrà la dimostrazione di protesta del prossimo 20 settembre a Berna. Oppure dal fatto di essere o no riusciti a far capire ai pensionati con rendite modeste che, per volontà dell’Udc e dei suoi partiti satelliti, saranno loro a dover pagare lo scotto della sospensione dell’indice misto. Per spiazzare Blocher, che è un populista, occorre ascoltare la gente più di quanto faccia lui. Calcoli politici di altro genere in questo caso sarebbero dannosi.

Pubblicato il

12.09.2003 01:00
Silvano De Pietro