Signorie feudali, arbitri e "par condicio"

Se la “par condicio” è importante in politica (vedasi i richiami dell’arbitro Ciampi nei confronti del falloso centravanti di sfondamento Berlusconi) nello sport è una ragione di vita: nello sport ai potenti non si può concedere nessuna deroga, nessuna eccezione, nessun “aiutino” per la semplice ragione che l’intero apparato crollerebbe, ciò che non farebbe comodo agli stessi potenti che attraverso lo sport perseguono i loro veri fini: celebrazione di sé stessi, aumento del proprio potere. Nemmeno ad Adolf Hitler è venuto in mente di far partire gli ariani un metro più avanti del figlio di schiavi Jesse Owens, nel ‘36 a Berlino. E nessun “magnate” del calcio ha mai brevettato una porta di calcio semovente, che si possa alzare di 10 cm e allargare di 20 laddove giungono i tiri dei propri attaccanti. Però l’arbitro si può condizionare: accade in tutto il mondo, ma il modo più matematico nel rilevarlo si ha osservando il comportamento degli arbitri italiani quando fanno il loro mestiere in Italia e quando lo fanno all’estero. Ultimo esempio l’esemplare Rosetti che ha arbitrato Basilea-Middelsbrough punendo il tentativo dello svizzero Degen di “farlo fesso” con una simulazione, e i soliti fallacci tipici di certo calcio inglese vecchia maniera. Rosetti ha arbitrato secondo le nuove direttive: tolleranza zero, applicazione del regolamento anche in casi “dolorosi” senza riguardi. Se il figlio del padrone ruba le galline o rapisce la figlia del povero cafone, viene punito. Il fallo in area o di reazione o di frustrazione di un brasiliano, tedesco o italiano ai prossimi mondiali sarà punito come quello di un equadoregno o di un ucraino. Nel campionato italiano, a cui ci riferiamo per la vicinanza (che fa di noi provinciali dei tifosi della squadra A o della B) le regole valide per tutto il mondo sono interpretate in modo “locale”, come certe variazioni di certe famose ricette culinarie. Ciò che è di per sé lecito se non fosse che certi ingredienti possono essere usati solo da 3 o 4 grandi cuochi. Gli altri se sgarrano vengono retrocessi, perdono stelle, forchette e bicchieri. E così chi va all’estero convinto di produrre la solita minestra per avere premi e lodi si trova in tremendo imbarazzo e ne esce sconvolto dando pure i numeris perché, noblesse oblige, non è possibile che certi falli che si possono fare in casa non si possono fare in trasferta… E invece è proprio così. E così è andata alla Juventus a Londra contro l’Arsenal, e in parte all’Italia di Trapattoni agli ultimi mondiali, quando Panucci e Totti, abituati al metro di misura a casa propria, ne hanno trovato uno del tutto diverso. Vale per tutte le “grandi” di club e per le grandi nazioni del calcio. E vale anche per gli “aiutini” sotto forma di pasticche e siringhe varie: anche i ricchi e i potenti quando sono stanchi devono ridurre il ritmo e perdere la partita rinunciando alla chimica farmaceutica.

Pubblicato il

07.04.2006 12:30
Libano Zanolari