Sicurezza sul lavoro, il futuro possibile

Dario Mordasini: «Negli ultimi 20 anni fatti passi in avanti, ma molto resta da fare»

In Svizzera il numero degli infortuni professionali è in continua flessione ormai da anni, ma gli sforzi per migliorare la sicurezza e la tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori vanno ulteriormente intensificati, alla luce dei nuovi fattori di rischio ma anche dei dati statistici nudi e crudi: oltre 250.000 infortuni professionali all’anno (254.638 nel 2014), il che significa che ogni giorno circa 1000 lavoratori non rientrano a casa nelle medesime condizioni in cui si sono recati al lavoro. D’altro canto il rischio di farsi male diminuisce costantemente: se nel 2005 si registravano 74 infortuni ogni mille lavoratori a tempo pieno, nel 2014 si è scesi a 65. I morti per infortunio sono invece costantemente circa 100 all’anno (2,3 vittime ogni 100.000 dipendenti a tempo pieno, contro le 2 della Germania e l’1,9 della Francia).

La situazione merita di essere analizzata con attenzione. Cogliendo l’occasione della Giornata mondiale “per la salute e la sicurezza sul lavoro” che si celebra proprio oggi 28 aprile, area ha interpellato Dario Mordasini (foto a sinistra), fino al pensionamento di pochi mesi fa responsabile nazionale del settore “salute e sicurezza sul lavoro” di Unia. Esperto in materia e osservatore sul campo nazionale e internazionale da oltre vent’anni, ci aiuta a capire come si è evoluta la sicurezza sul lavoro, a individuare pregi e virtù dell’azione sindacale in questo ambito tanto centrale quanto delicato così come a indicare le vie da seguire in futuro.

Dario Mordasini, sei arrivato nel sindacato (l’allora Sindacato edilizia e industria – Sei –  che nel 2005 con i metalmeccanici della Flmo ha dato vita a Unia) a metà degli anni Novanta. Come hai percepito la problematica della sicurezza sul lavoro?
Essendomi in precedenza sempre occupato di formazione (presso Ecap), sapevo poco o nulla della questione, ma sin dai primi colloqui con i lavoratori ho percepito in loro un diffuso sentimento di paura di farsi male o di ammalarsi a causa del lavoro frammisto a una certa dose di rabbia per l’insufficienza delle risposte. Di qui la giusta e ferma volontà del Sei di “aggredire” il problema.
Come è cambiata nel corso degli anni l’attenzione alla salute dei lavoratori?
È cambiato l’approccio complessivo di tutti gli attori in campo, salvo quello dei lavoratori che oggi come allora collocano la sicurezza sul luogo di lavoro in cima alla lista delle loro preoccupazioni. Anche se va detto che oggi pure i lavoratori in prima persona si occupano della materia, grazie soprattutto allo sviluppo di internet.
In che senso è cambiato l’approccio complessivo?
Mentre vent’anni fa la priorità era la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali in senso stretto, col tempo ci si è resi conto che i fattori di rischio sui luoghi di lavoro sono molteplici e che essi possono dare origine a danni poco considerati in precedenza, come quelli al sistema muscolo-scheletrico o quelli di carattere psicosociale. Non è un caso che la Seco e gli ispettorati del lavoro, d’intesa con i sindacati, abbiano definito come priorità per il periodo 2015-19 la lotta contro lo stress sul lavoro. Rispetto all’epoca, quando ci si concentrava su uno o pochi fattori nocivi per volta, oggi vi è poi un approccio più globale: i problemi di salute provocati dalle condizioni di lavoro vengono valutati nel loro insieme e per questo nel corso degli anni padronato, sindacati e istituzioni hanno elaborato una settantina di concetti settoriali con misure specifiche per i diversi rami professionali. Questo grazie anche ad una sempre più stretta collaborazione tra i vari attori.
Il padronato come ha modificato il suo approccio alla problematica?
Il padronato considerava gli investimenti nella sicurezza perlopiù come dei costi supplementari, ma col tempo ha capito che una maggior protezione della salute dei lavoratori si traduce anche in vantaggi finanziari: da ogni franco investito  per la sicurezza se ne ricavano due o di più, confermano vari studi.
E il sindacato che ruolo ha giocato nell’ambito di questo percorso?
I sindacati (in particolare il Sei prima e Unia poi) hanno svolto un ruolo attivo e da protagonisti in molte occasioni, guadagnandosi tra l’altro la stima di partner competenti e impegnati. Fu per esempio il Sei, una quindicina di anni fa, a promuovere corsi sulla sicurezza dei ponteggi durante l’orario di lavoro. Un progetto cui ancora oggi partecipa più del 20 per cento di tutti i dipendenti del settore. Come Unia abbiamo poi contribuito a elaborare una trentina di programmi di prevenzione per altrettanti rami professionali e a definire una “Carta della sicurezza” per prevenire gli infortuni sui cantieri (un progetto tra l’altro ripreso da altri paesi europei). A questo si aggiunge una permanente attività d’inchiesta direttamente presso i lavoratori (nell’edilizia, nell’industria, nella vendita) allo scopo di individuare gli specifici problemi legati alla salute. Citerei infine il contributo determinante dato alla recente istituzione di un fondo d’indennizzo per le vittime dell’amianto, così come l’impegno continuativo della stampa sindacale (di area in particolare) nell’affrontare la questione della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Si può pertanto definire positivo il bilancio degli ultimi vent’anni d’impegno in favore della sicurezza?
“Ni”. Senza dubbio sono stati conseguiti risultati incoraggianti e significativi, ma ci sono anche degli aspetti critici e insoddisfacenti. Il nostro intervento è per esempio stato tardivo e carente nei confronti dei lavoratori colpiti dagli effetti della precarizzazione, lavoratori su chiamata ed interinali in particolare. Decisamente lacunoso è stato in passato -ma le cose stanno chiaramente cambiando- anche il nostro impegno nel fronteggiare i danni di carattere psico-sociale causati dallo stress sui luoghi di lavoro, un problema che oggi tocca il 30 per cento di lavoratori in più rispetto a dieci anni fa. Infine il sindacato è forse ancora troppo debole e non sufficientemente incisivo nel contrastare i continui tentativi di smantellare norme legali a tutela della salute dei lavoratori.
A che cosa ti riferisci in particolare?
Penso ai vari tentativi in atto a livello politico per annacquare la legislazione sul lavoro, per esempio attraverso un allentamento dell’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro o alla tendenza (molto forte soprattutto in Europa ma presente anche in Svizzera) a creare un sistema di tutela della salute di serie A per le grosse imprese e uno di serie B per quelle piccole (a cui le misure costerebbero troppo). Di fronte a queste minacce la nostra risposta politica è stata finora troppo debole. Penso dunque che i sindacati debbano intensificare gli sforzi, perché gli attacchi non cesseranno.
Che messaggio vorresti lanciare a chi oggi nei sindacati si occupa di sicurezza sul lavoro?
Rispondo con una frase dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry: “L’importante non è prevedere il futuro ma renderlo possibile”. Rendere possibile un futuro in cui tutti i lavoratori hanno la garanzia di tornare a casa dal lavoro sani e incolumi.

Pubblicato il

27.04.2017 15:05
Claudio Carrer