Ora non si usa più, sulla Freccia Rossa ci sono due sedili a destra e due a sinistra separati da un corridoio centrale, ma qualche anno fa i treni a lunga percorrenza avevano gli scompartimenti: quattro posti a sedere di fronte ad altri quattro, e una porta scorrevole che dava su un corridoio laterale. Si stava piuttosto stretti. C'era il commesso viaggiatore assorto nella lettura dei suoi cataloghi, il semplice lettore della Gazzetta dello Sport («Il mio futuro senza Juve»), il carabiniere in pensione, la signora con la sua brava rivista femminile («Lucrezia e Simone, la loro storia continua»), l'emigrante intento a osservare il paesaggio.
Qualche minuto dopo la partenza, quella temporanea intimità propiziava l'atmosfera da "cara la mia signora, al giorno d'oggi…": i treni non sono più in orario come una volta, a causa degli scioperi si sa quando si parte ma non quando si arriva, non possiamo accogliere tutti gli stranieri che arrivano, per la gioventù ci vorrebbero quattro scapaccioni assestati al momento giusto, non si è più sicuri quando si esce di casa la sera, quanto viene a costare un idraulico, quanto sarebbe cara la vita se non ci fossero i supermercati ad abbassare un po' i prezzi, e via discorrendo.
Una Settimana Enigmistica viaggiante, insomma. Stranamente simile però al linguaggio della politica di oggi, dalle motivazioni addotte dal governo ticinese per autorizzare l'apertura domenicale del Centro ovale di Chiasso all'ormai celebre frase che si è lasciato sfuggire il primo ministro italiano «Il posto fisso, che noia!», dalla sociologia fai da te sugli stranieri che «bevono birra prima di mezzogiorno, mentre i nostri ragazzi la bevono nel pomeriggio» a quell'affermazione bizzarra che per dare lavoro ai giovani bisogna far lavorare di più gli anziani.
Si diceva dei centri commerciali aperti anche la domenica per venire incontro ai consumatori, che devono avere il tempo di girare fra gli scaffali, fare i dovuti confronti e scegliere il prezzo più conveniente: una scatola di pomodori pelati nei supermercati ticinesi costa 45 centesimi. In tale cifra sono compresi la remunerazione di chi li ha coltivati, la paga dei raccoglitori, poi il trasporto, la latta, la stampa della fascia colorata, la pubblicità, la distribuzione, lo stipendio di chi riempie gli scaffali e quello della cassiera. Tutto questo lavoro vale così poco? Comprare a quel prezzo significa sottrarre a qualcuno ciò che gli spetta, significa rubare, non c'è un altro verbo.
Nella recente votazione per il rinnovo delle amministrazioni comunali il tema più trattato è stato quello della sicurezza, tutti i partiti hanno proposto ricette per aumentare la sicurezza dei cittadini. Ebbene, quali ispettori cantonali, quali poliziotti in auto o in bicicletta, quali guardie di confine, quali sindaci, quali municipali controllano i negozi per reprimere i furti che vengono commessi ogni giorno a danno dei lavoratori attraverso la concorrenza al ribasso dei prezzi? Chi si preoccupa di garantire la sicurezza dei salari? Nessuno. Perché siamo informati, siamo amministrati e siamo governati da persone che pensano il mondo e ragionano come se si trovassero perennemente all'interno di uno scompartimento dei treni di una volta.

Pubblicato il 

20.04.12

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