Siamo tutti rifugiati

Se volessimo dare una lettura della decisione dell’Onu di istituire una Giornata mondiale del rifugiato ne potremmo trarre due valutazioni principali. La prima è che in ogni caso l’organizzazione di una Giornata mondiale del rifugiato segna inevitabilmente una sconfitta per l’intera comunità mondiale e soprattutto per le moderne società del cosiddetto primo mondo. Queste società hanno costruito in buona parte la loro opulenza grazie all’enorme eredità lasciata dai padri fondatori, autentici predatori, spietati coloni, privi della minima pietà verso chi gli stava di fronte. A nulla o a poco è servito il Mea culpa recitato in tempi moderni dagli eredi dei coloni, gli attuali signori del mondo, che governano con una mentalità basata costantemente sull’idea di una continua espansione del loro potere, incuranti di capire l’evoluzione della Storia. Così all’improvviso si sono visti una massa colorata (magnificamente colorata), un’umanità intera, premere alle frontiere, fin dentro le proprie dimore. Ed è stato il panico, panico che ha spinto il potere in una demagogica corsa di contenimento, fino ad arrivare all’applicazione di leggi a dir poco discriminatorie. I fenomeni degli esuli e dell’immigrazione sono quindi una diretta conseguenza della politica occidentale del profitto, capace solo di valutare i suoi interessi. La perpetua vendita di armi e le continue ricerche per lo sfruttamento delle risorse naturali hanno generato tragici conflitti e la conseguente naturale fuga delle persone. Quindi è patetico l’atteggiamento di quei governi europei che prendono di mira i nuovi arrivati come se fossero una forza d’invasione, ignorando che la vera responsabilità è la loro. La questione di limitare l’afflusso migratorio non va risolta erigendo cortine di ferro o decretando leggi disumane, come sta succedendo in Svizzera, ma va affrontata e analizzata nelle sue radici, in un’ottica globale, ad esempio con una strategia d’aiuto e sostegno ai paesi in via di sviluppo. La seconda valutazione che possiamo trarre dalla Giornata mondiale del rifugiato è che la sua istituzione è stata una conquista, il risultato della capacità e della forza collettiva di tutte le persone costrette ad abbandonare la propria terra. Questo atto richiede un coraggio straordinario, immani sacrifici e fantasia creativa. Sfidare le insidie del potere, affrontare il proprio destino è una caratteristica dei coraggiosi. È grazie a questi uomini che è stato strappato lo statuto di rifugiato quale diritto legittimo di vivere in pace. Non si tratta di un regalo offerto dall’Onu, ma di un diritto imposto attraverso le sofferenze e la speranza. Ma finché l’occidente non cambia strategia politica, il fenomeno dei rifugiati è destinato a crescere. Negli ultimi tempi in varie parti d’Europa, ed in particolare anche in Svizzera, voci sinistre, teste dementi e politici reazionari hanno alzato il tiro contro chi è diverso, dimenticando che la diversità è una straordinaria ricchezza. La Svizzera non ha mai fatto la guerra contro nessuno, ma nei palazzi del potere elvetico c’è qualche politico che di fatto ha già dichiarato guerra agli altri, ai diversi, agli immigrati, agli asilanti. L’hanno già fatto anche contro le proprie istituzioni culturali. Questi fatti accadono in una nazione che si considera un paladino della difesa dei diritti delle persone. La loro politica è contro l’interesse nazionale e mina le fondamenta della coesistenza sociale. La demagogia de “la barca è piena” avanzata da qualche personaggio delirante è semplicemente stupida e dannosa per i suoi stessi ricettatori. Il motore di questa barca-società funziona anche grazie agli sforzi di centinaia di migliaia di diversi, definiti dalle stesse istituzioni come nuovi cittadini. La conquista dei diritti dei rifugiati va difesa attraverso una costante campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che spesso è disorientata. Bisogna stare attenti a non cadere nella trappola della destra conservatrice che vorrebbe l’approvazione della revisione della Legge sull’asilo attualmente in discussione alla camere federali. Bisogna elaborare una politica d’attacco costruttiva, tessere e stringere alleanze con le associazioni e le organizzazioni nazionali per arginare il male istituzionale dilagante. Obiettivamente, siamo tutti rifugiati. * Discorso pronunciato a Festate di Chiasso il 18 giugno in occasione della Giornata del rifugiato. Al Fadhil, artista, è nato in Iraq nel 1955 ma ha lasciato il suo paese alla fine degli anni ‘70. Ha studiato arte a Baghdad e Firenze. Dal ‘91 al 2000 ha vissuto in Ticino (dove ha ancora un atelier), ora risiede a Parigi. Lavora con la pittura, le installazioni, il suono, le fotografie e la videoart.

Pubblicato il

24.06.2005 00:30
Al Fadhil