La Svizzera ha finalmente l’opportunità di rinverdire la sua un po’ appassita neutralità. Sì perché negli ultimi anni i suoi buoni uffici erano sempre meno richiesti, soprattutto da quando il muro di Berlino è caduto e con lui quella cortina di diffidenza e di tensione che divideva in due il mondo occidentale.
Altri paesi erano diventati temibili concorrenti. Lo si era visto proprio in occasione della guerra in Aghanistan: la conferenza di pace si era tenuta in Germania e non nella tranquilla Svizzera. Anche quando l’Onu decideva di aprire un nuovo ufficio la scelta non ricadeva più automaticamente su Ginevra, ma su altri paesi neutrali o sulla Germania o l’Italia.
Entrare nell’Onu offrirà alla Svizzera, ma anche agli svizzeri nuove opportunità di lavoro. La sede di Ginevra non è più in pericolo e questo significa anche garanzia di posti di lavoro e una sicurezza economica importante per la città sul Lemano.
Gli svizzeri che vogliono lavorare per organizzazioni internazionali umanitarie potranno candidarsi non solo alla Croce Rossa internazionale, ma anche all’Onu. Finora non potevano praticamente farlo. L’adesione all’Onu aprirà interessanti opportunità a chi parla molte lingue e a chi dispone di esperienze interessanti e particolari ottenute in zone di conflitti.
Nuove prospettive professionali
Il primo segnale di questo cambiamento lo si è avuto proprio alla vigilia dell’entrata della Svizzera all’Onu, quando un candidato elvetico, il professor Walter Kälin è stato eletto nel comitato dei diritti dell’uomo. Alcuni svizzeri hanno già ricevuto incarichi importanti. È il caso di Adolph Ogi o di Jean Ziegler. All’Onu, al palazzo di vetro, attualmente lavorano già una ventina di svizzeri. Per la maggior parte si tratta di impiegati con doppia cittadinanza, ma comincia a fare la sua apparizione anche chi ha in tasca solo il passaporto rossocrociato. «Sono sicuro che in occasione dei prossimi concorsi gli svizzeri avranno, a parità di qualifica, buone probabilità di venire assunti», ci precisava l’ambasciatore svizzero all’Onu. Adesso la Svizzera spera di far entrare la neocastellana Barbara Ott, nella famosa corte penale internazionale (Cpi), quella per capirci che non piace agli Stati Uniti, che hanno chiesto a destra e a manca di concedere l’immunità ai soldati a stelle e strisce.
La corte penale internazionale
Alcuni paesi come Israele e Romania hanno abboccato. L’Unione europea si è data alcune settimane di tempo per riflettere. La Svizzera sta remando nella direzione opposta agli Stati Uniti.
Vogliamo meno eccezioni possibili per non privare questa corte della sua efficacia, ha insistentemente dichiarato il ministro degli esteri, Joseph Deiss, al segretario generale delle Nazioni Unite il giorno stesso dell’adesione.
Soffiano venti di guerra
È questo il linguaggio che piace alle Nazioni Unite che vedono nella Svizzera un partner interessante. Interessa l’esperienza di un paese che ha imparato a far convivere pacificamente culture diverse, ma piace anche la sua neutralità che ha permesso agli svizzeri di uscire indenni dai grandi conflitti europei.
Adesso per la Svizzera comincia un anno importante: deve dimostrare con i fatti che è in grado di apportare un valido contributo in una organizzazione che ha ripreso forza dopo la caduta del muro di Berlino, ma che deve sempre più fare i conti con un paese come gli Stati Uniti che usa un linguaggio sempre più bellicoso.
Il grande tema di discussione al palazzo di vetro sarà nei prossimi giorni la crisi irachena. Gli Stati Uniti non riescono a trovare quell’appoggio che avevano avuto per la campagna in Afghanistan. L’Europa ha rivolto lo sguardo all’Onu e adesso resta da vedere se nei prossimi giorni le Nazioni Unite riusciranno a trovare una via pr evitare il conflitto armato e se la Svizzera potrà in qualche modo dare un suo contributo. |