Non c’è apparentemente fine alla crisi dell’acciaio svizzero. Lo scorso 11 di ottobre la Stahl Gerlafingen ha annunciato il licenziamento di 120 persone nel suo stabilimento nel Canton Soletta. In primavera l’azienda, che fa capo al gruppo italiano AFV Beltrame, aveva già operato una ristrutturazione che aveva portato alla revoca del rapporto di lavoro di circa 60 dipendenti e alla chiusura di una delle due linee di produzione. A cinquanta chilometri di distanza da Gerlafingen, la Swiss Steel di Emmenbrücke (Canton Lucerna) ha dovuto aumentare quest’anno il suo capitale di 300 milioni di franchi per coprire le perdite del 2023. I soldi arrivano dal miliardario Martin Haefner che in passato aveva già investito 600 milioni nel gruppo. Tuttavia, gli altri principali azionisti del gruppo siderurgico – il patron di Stadler Rail, Peter Spuhler, e l’oligarca russo sotto sanzione americana, Viktor Vekselberg – sembrerebbero non essere più disposti a investire altro denaro. Anche il futuro di Swiss Steel e del suo stabilimento elvetico, dove lavorano 700 persone, è quindi molto incerto. La crisi delle due ultime acciaierie della Svizzera per l’associazione di categoria Swissmem è dovuta in gran parte a quanto sta avvenendo all’estero: da un lato il fatto che alcuni Stati, al contrario della Confederazione, abbiano sostenuto massicciamente le proprie acciaierie per far fronte agli aumenti dei prezzi dell’energia; dall’altro le misure protezioniste prese dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea che hanno parzialmente chiuso il mercato dell’acciaio. In Svizzera, il sostegno pubblico a questo settore sembra essere un tabù inviolabile. «La Svizzera rinuncia a misure di politica industriale a favore di determinate aziende e settori» ci aveva dichiarato qualche tempo fa Loïc Zen-Ruffinen portavoce del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR) secondo cui «tali misure sono molto costose e non garantiscono la competitività a lungo termine» e «al contrario, aumentano il rischio di una cattiva allocazione delle risorse e di influenza politica». Per cercare di far cambiare rotta, i sindacati Unia, Syna e la Società impiegati commercio Svizzera e Employés Suisse hanno lanciato in questi giorni una petizione per salvare l’acciaieria di Gerlafingen, dove sono attive ancora 500 persone. La crisi della siderurgia svizzera oltre ad avere un effetto concreto su chi lavora nel settore pone anche dei problemi in materia di politica industriale. Nel Canton Soletta infatti si produce acciaio riciclato da rottami metallici, dando un importante contributo all’integrazione dell’economia circolare nell’industria delle costruzioni. Senza considerare, inoltre, che la produzione di acciaio a Gerlafingen emette cinque volte meno CO2 per tonnellata prodotta rispetto alla produzione tradizionale di acciaio in altoforno. Per Unia l’impianto “è quindi di importanza strategica per la necessaria trasformazione ecologica dell’economia svizzera”. I sindacati chiedono quindi “linee guida vincolanti per l’utilizzo di acciaio riciclato a basse emissioni negli appalti pubblici e in tutto il settore edile svizzero”. Alla politica, ora, fare la sua parte. |