Le chiamano riforme, più che una parola un totem. Guai a non volerle, chi non le ama è un conservatore e l'Italia d'oggi è degli innovatori. O rottamatori; di persone, idee, valori. La prima riforma renziana ha rottamato i diritti dei lavoratori con l'abbattimento dei pilastri su cui si reggeva lo Statuto. Due esempi: non c'è più la reintegra sul posto di lavoro dei dipendenti buttati fuori ingiustamente (art. 18), che si traduce in libertà di licenziamento; il lavoratore può essere spiato con tutti i mezzi disponibili, a differenza dei politici la cui privacy è garantita dalla nuova legge taglia-intercettazioni. Il jobs act “riforma” il mercato del lavoro ampliando le ingiustizie e la forbice dei diritti per categorie a tutela “crescente”, in realtà calante. La seconda riforma fondamentale è quella che rottama un sistema elettorale vergognoso. Bene dunque. Anzi male, se invece di estendere democrazia e partecipazione le si restringono in nome della rapidità delle decisioni e della governabilità. Due rami del Parlamento con le stesse funzioni, si dice, sono una perdita di tempo e danaro. Dunque via il Senato, anzi non proprio via ma svuotato di poteri e non più elettivo. Altro che riempire il fossato che divide società e politica, quest'ultima in sciopero delle urne contro un Parlamento di nominati. Morale, l'Italicum (per la Camera) consegna ancora più nettamente (fino al 70%) ai partiti la scelta dei parlamentari sottraendola alla volontà popolare, mentre sulla riforma del Senato si litiga ancora, proprio sulla nomina e non l'elezione diretta dei membri ridotti (giustamente) a un terzo, 100 in tutto. La lite è tra Renzi e il resto della politica: leghisti, berlusconiani, vendoliani e la sbrindellata minoranza del Pd che rivendica a voce sempre più bassa l'eleggibilità diretta e si dichiara disponibile a mediazioni poco esaltanti. Il coniglio uscito dal cappello renziano è una libertà di scelta finta perché sarebbe soltanto un'indicazione delegando la nomina all'istituzione regionale. L'altro aspetto che non va giù a opposizioni e minoranze Pd è l'enorme premio di maggioranza dato neanche alla coalizione vincente, ma al solo partito che prende più voti. Cosicché chi ha meno del 30% dei consensi (e a votare ormai è la metà degli aventi diritto) potrebbe avere la maggioranza assoluta dei parlamentari. Per consentire lo snaturamento di funzioni e composizione del Parlamento bisogna modificare la Costituzione, ma non c'è problema, Renzi non si ferma di fronte a nulla. Neanche alla possibilità di modificare la legge fondamentale con pochi voti di maggioranza. Renzi ha un punto di forza: nessuno vuole elezioni anticipate (salvo forse la Lega), per ragioni politiche e, più prosaicamente, per non perdere il cadreghino.
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