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"Si rischia l'effetto domino"
di
Stefano Guerra
«Nel 1992 ho subìto una ristrutturazione in condizioni molto più difficili, con 290 persone coinvolte tra pensionamenti anticipati e licenziamenti. Venne allestito un piano sociale da 20 milioni di franchi circa e tra le parti vi fu un buon dialogo. Oggi è tutto molto più complicato, perchè Alcan prima ha annunciato le soppressioni di impieghi e solo in un secondo tempo istituito dei gruppi di lavoro per capire come arrivarvi». Nei suoi 36 anni passati ad Alusuisse prima e ad Alcan poi, Bernard Bitz di ristrutturazioni ne ha vissute sei. Tutte dure da digerire, ma l’ultima forse lo è più delle altre. Perché frutto di calcoli matematico-finanziari fatti lontano dal Vallese, sottesi da una logica industriale quasi imperscrutabile. Bitz è da 20 anni presidente della commissione aziendale dei siti vallesani di Alusuisse-Alcan. È anche delegato alla commissione europea del personale di Alcan. Quando lo incontriamo a Sierre è appena uscito da una riunione con Michel Jacques, il numero 3 del colosso canadese dell’alluminio.
Bernard Bitz, questa ristrutturazione era evitabile a suo avviso?
Qualcosa andava fatto, d’accordo. Sono quattro, cinque anni che vado dicendo: attenzione, di questo passo andremo a sbattere contro un muro. Meno del 50 per cento degli effettivi del comparto estrusione toccava l’alluminio. La direzione non ha mai fatto nulla, e a giugno annunciano la soppressione di 110 posti di lavoro, un numero ottenuto con un puro calcolo matematico. Alcan vuole cifre nere nel 2006, così ha preso il deficit dello scorso anno (12 milioni di franchi) e l’ha diviso per il costo annuo – oneri sociali compresi – di un lavoratore: fa circa 110...
Come stanno vivendo questa situazione i lavoratori potenzialmente toccati dalla ristrutturazione?
Per loro è molto doloroso. Sono tutti nervosi e spaventati. Perché gli è stato detto il 14 giugno che ci saranno 110 posti di lavoro in meno. E oggi, a metà settembre, non sanno ancora nulla, non sanno chi resterà e chi dovrà partire. Normalmente in caso di ristrutturazione vanno persi tra il 5 e il 10 per cento degli effettivi. In questo caso invece si tratta quasi del 30 per cento dei lavoratori impiegati alle presse [400 circa, ndr], praticamente uno su tre. Prima di annunciare la soppressione di 110 posti avrebbero dovuto formare dei gruppi di lavoro per analizzare la situazione, studiare le possibili sinergie con altri siti ed eventualmente valutare il numero di posti da cancellare. Invece hanno “sparato” una cifra e ora bisogna trovare una soluzione per rispettarla.
Con l’assorbimento di Alusuisse da parte di Alcan cos’è cambiato?
Il management di Alusuisse era a Zurigo e qui in Vallese i dirigenti avevano un potere decisionale. Allora Alusuisse era un’entità “totale”, dove le varie attività – estrusione, laminatoi e metalli primari – si equilibravano e i conti tornavano. L’industria dell’alluminio in Vallese ha sempre conosciuto un andamento ciclico: un anno era un settore a registrare utili, mentre gli altri due terminavano in perdita; l’anno successivo poteva verificarsi il contrario, e così via. Alcan invece è organizzata in “business units”: ogni “unità” – ad esempio l’estrusione – è gestita da un direttore che riferisce al rispettivo responsabile europeo che a sua volta rende conto al management internazionale a Montréal. A livello locale – perlomeno laddove sono presenti le diverse “unità”, come in Vallese e a Singen – non esiste più un potere decisionale sull’insieme delle attività. Anliker [il responsabile degli stabilimenti vallesani di Alcan, ndr] è un direttore fantasma, un mero esecutore degli ordini che vengono calati dall’alto.
Michel Jacques ha rassicurato circa il futuro del sito di Sierre, mentre non ha escluso di abbandonare quello di Steg qualora Alcan non riuscisse a spuntare un prezzo dell’elettricità interessante. Oggi la preoccupa di più Sierre o Steg?
La sorte di entrambi mi preoccupa. Il rischio è che si crei un effetto domino: se salta un sito anche gli altri rischiano di fare la stessa fine prima o poi. Perché i costi di manutenzione, trasporto e infrastruttura (energia elettrica, acqua, ecc.) sono più sopportabili se ripartiti su un certo volume di produzione. Ma se la produzione e le attività vengono ridotte a una dimensione critica, questi costi lieviterebbero in termini relativi e i siti restanti non riuscirebbero più a sopportarli.
Pubblicato il
23.09.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 38
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