Una delle principali conseguenze dell’economia di guerra – oltre naturalmente al portato di morte che l’accompagna – è la perdita progressiva di diritti, di sicurezza individuale e collettiva, di welfare, di opportunità e futuro per le nuove generazioni. Un’economia di guerra si basa sul principio opposto a quello enunciato autorevolmente dall’ex presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. Il quale ripeteva: “Vuotare gli arsenali, riempire i granai”. Se l’obiettivo di un governo è l’aumento della spesa militare in assenza di fondi, la conseguenza non può che essere una riduzione della spesa sociale, del welfare; sanità e istruzione non saranno più per tutti ma per chi se le può permettere. Il governo italiano, così come tutti i governi europei che aderiscono alla NATO, con l’unica eccezione della Spagna, hanno deciso di inchinarsi agli ordini di Trump e raddoppiare la spesa in armamenti, triplicarla per quanto riguarda l’Italia: dall’1,6% al 5% in dieci anni, con un costo complessivo che supererebbe i 400 miliardi di euro. Il che equivale a dire vuotare i granai e riempire gli arsenali, per giunta con armi comprate dall’America di Trump che minaccia, altrimenti, di abbandonarci tra le mascelle dell’orso russo (per qualcuno una minaccia, per altri una speranza). In un’economia di guerra ci sarà sempre meno spazio per la democrazia e per la libertà di pensiero e d’azione, in guerra bisogna essere tutti uniti dietro il capo – o la capa – non c’è più spazio per i dubbi, le critiche, le contestazioni, le battaglie sociali e i conflitti nel lavoro. Chi non si adegua, chi non obbedisce a chi si inchina al cospetto del padrone (a stelle e strisce) del globo terracqueo è un traditore, un nemico come quello contro cui ci si arma, naturalmente per difendersi. Così nascono le leggi mostruose sulla cosiddetta sicurezza imposte da Giorgia Meloni che trasformano in devianze e crimini i conflitti sociali. Così capita che a Bologna gli operai metalmeccanici in sciopero per il contratto, che in corteo bloccano per poco tempo la tangenziale, vengano identificati e minacciati di denuncia. La legge fascio-meloniana trasforma il blocco della circolazione da reato amministrativo a reato penale che prevede fino a due anni di galera. “Come ti vorrei/ Vorrei vorrei/ Ti vorrei/ Qui con me”. Così cantava Iva Zanicchi, così canta il governo Meloni rivolto agli operai. Se sono bravi, si comportano bene nel rispetto delle nuove leggi varate in uno Stato di polizia, se boicottano i referendum sul lavoro della CGIL, se firmano contratti separati, allora il governo riconoscente è disposto persino a promuoverli e riservare per loro una poltrona coi fiocchi: Luigi Sbarra, appena cinque mesi dopo aver passato il testimone da segretario generale della CISL a Daniela Fumarola, è stato nominato sottosegretario al Sud nel governo più di destra dalla caduta del fascismo (quello di Mussolini e della Repubblica di Salò, ora ce n’è uno nuovo). Fumarola “esprime soddisfazione per la scelta di Sbarra”. Una scelta che evidenzia la sintonia della CISL con le modalità e i contenuti del dialogo inesistente governo-sindacati e con gran parte dei provvedimenti legislativi del governo Meloni. (Abbiamo raccontato la storia e la deriva di destra della CISL nell’ultima edizione cartacea in edicola). I metalmeccanici non ci stanno Se invece gli operai non si adeguano e rifiutano di allinearsi con le destre e il capitale, sapete cosa diventano? “Sedicenti operai”, parola di Fabio Rampelli, il meloniano vicepresidente della Camera. I veri operai non vanno in corteo sulla tangenziale di Bologna creando problemi agli automobilisti (che invece applaudono i metalmeccanici in sciopero) violando le nuove leggi liberticide che sacralizzano il movimento della “gente” in strada, in treno, in aereo e criminalizzano il movimento di protesta. Dunque, non sono operai veri ma “sedicenti”. Cioè provocatori, sfaccendati, magari studenti palestinesi che invece della kefiah indossano la tuta blu per spacciarsi da lavoratori. In galera! In galera per due anni. Identificateci tutti, denunciateci tutti, rispondono operaie e operai metalmeccanici al governo che li vorrebbe in prigione. Paradossalmente, a occupare la tangenziale di Bologna c’erano anche i militanti della FIM-CISL, quelli premiati da Giorgia Meloni con l’assunzione al governo del loro ex segretario confederale. Perché quando è troppo è troppo: il rifiuto dei padroni a trattare su salari, sicurezza e dignità per rinnovare il contratto scaduto da un anno è talmente odioso che, a differenza che nel pubblico impiego, la CISL non se la sente, almeno per ora, di firmare un accordo bidone separato con la controparte, cioè senza FIOM e UILM. I metalmeccanici sono tornati in piazza, hanno accumulato 40 ore di sciopero, insomma: arieccoli. Le tute blu, anche se le metti in lavatrice a 90 gradi non si stingono, non sono come Giorgia Meloni le vorrebbe. Illudersi di fermarle con leggi capestro, trasformando la più classica delle lotte di classe in un problema di ordine pubblico, è ridicolo, oltre che criminale. Il governo Meloni sta con i padroni, ha promosso a ministro del lavoro un loro epigono e ha pensato che, avendo convinto la CISL a vendere per un piatto di lenticchie la pelle degli statali (contratto rinnovato con un accordo separato, poi bocciato plebiscitariamente dai lavoratori), la stessa cosa sarebbe potuta capitare con i metalmeccanici. Ma è rimasta bloccata sulla tangenziale di Bologna tra gli slogan degli operai e gli applausi degli automobilisti. Ci provino a denunciare i sedicenti operai. Non credo che convenga a Meloni, Piantedosi e alla ministra Calderone, così almeno pensa un sedicente giornalista. |