Pompeo, segretario di Stato americano, in “pompa magna”, come imperatore romano, percorre trionfante e da padrone Berna con un seguito di guardie del corpo, politici, funzionari di circostanza, promotori turistici. Si ripete nella medievale Bellinzona, antico simbolo di soggezione milanese o baliva, passeggiando per la corte di Castelgrande con il minuscolo Cassis, e dimostrando, già visivamente, ai pochi provincialotti ticinesi – indispettiti per il traffico bloccato su gran parte del Cantone – che la potenza americana, persino nella stazza di chi la rappresenta, contiene tre volte il nostro ministro degli esteri elvetico. La descrizione evidenzia, con legittima caricatura, tre fatti: la piaggeria vischiosa nei confronti del potere; la totale dipendenza dalla potenza americana, proprio quando si sostiene che la sovranità e indipendenza svizzere sono minacciate dalla sparsa Unione europea; la forza del ricatto politico ed economico e l’assoggettamento incondizionato ad una dottrina che lo alimenta e di cui finiamo sempre per pagare gli enormi sconquassi. Da quanto risulta dai trapelati “colloqui” Pompeo-Cassis, Iran e Venezuela sarebbero stati temi centrali (la Svizzera rappresenterebbe ancora in quei due paesi il ponte diplomatico con gli Usa) e da quanto non risulta o risulta poco, la possibilità per l’industria farmaceutica di esportare ancora in Iran «per motivi umanitari» (Cassis dixit), un’attenzione privilegiata alle due principali industrie aeronautiche americane nella scelta del futuro aereo da combattimento (purché sorretta da benevolenze politiche o economiche), un trattato di libero-scambio tra la fagocitante America trumpiana e la condizionata Confederazione elvetica (in fatto di banche, esportazioni, prodotti agricoli), i veri temi. La Svizzera, tesa soprattutto alla supina priorità data ai suoi affari economici e incoerente con i principi proclamati della sua sovranità istituzionale e indipendenza politica, pur avendone già subito amaramente e finanziariamente le conseguenze (v. questione delle banche), si accoda ossequiente al principio assurdo della extraterritorialità delle leggi americane. I ricatti e le minacce della superpotenza americana non sono nuovi. Un esempio emblematico è stato quello con Cuba, il cui blocco economico, ormai più che cinquantennale, è costato a diverse industrie svizzere e persino ad organizzazioni mediche-filantropiche che hanno cercato di aggirarlo, pesanti multe. È continuato con l’Iraq da invadere e “democratizzare”, ricco di petrolio, ma non di armi di distruzione di massa, pretesto per intervenire. La storia si ripete con l’Iran, per l’astio di Trump contro Obama ch’era riuscito, con gli alleati, a raggiungere un accordo sul nucleare, di cui non si ha sinora nessuna prova che non sia stato rispettato. Gli americani, da vera potenza imperiale, non hanno cessato nell’ultimo mezzo secolo di rafforzare continuamente il loro arsenale giuridico internazionale, disponendo, comandando e ricattando, e di utilizzare il dollaro per imporre le loro leggi al di là delle loro frontiere. Dapprima con un obiettivo diplomatico, che è quello raffigurato da Pompeo a Berna e Bellinzona: instaurare o rafforzare un legame vassallesco con gli Stati, in particolar modo quelli europei, che devono rimanere deboli e divisi (v. Trump), imponendo la politica estera americana. Poi con un obiettivo economico: indebolire i principali concorrenti delle imprese e multinazionali americane, infliggendo a chi sgarra pesantissime multe e chiusure assolute (capiterà anche con la cinese Huawei). L’aspetto paradossale, per la Svizzera bancaria, è che la legge americana è stata interiorizzata a tal punto che le esigenze della famosa “compliance”, accettata, hanno trasformato le banche in veri agenti delle autorità di Washington, incaricate di controllare che le attività ch’esse finanziano fuori dal territorio americano siano in conformità assoluta con le leggi americane. Tanto che Cassis deve chiedere un possibile lasciapassare «umanitario» per le banche che trattano ovviamente in dollari le esportazioni farmaceutiche verso l’Iran.
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