Essere favorevoli ad aperture indiscriminate 7 giorni su 7 dei negozi è assolutamente legittimo, ma bisognerebbe avere l’onestà di dichiararlo. I fautori della modifica di legge in votazione in Ticino il prossimo 18 giugno che spalanca le porte a questo modello di società però non lo fanno, preferendo condurre una campagna infarcita di menzogne e fornendo informazioni fuorvianti ai cittadini chiamati a votare. In prima fila ci sono naturalmente i rappresentanti dei grossi commerci e della grande distribuzione, ma anche la stampa cantonale all’unisono, che conferma il suo tradizionale servilismo nei confronti di questo ramo economico da cui ricava importanti introiti pubblicitari.
Il testo in votazione prevede di fatto la liberalizzazione del lavoro festivo e domenicale nel settore del commercio al dettaglio su quasi tutto il territorio cantonale. “Nulla di sconvolgente”, “una modifica ragionevole”, “si tratta di tendere la mano a chi fa commercio”, scrive per esempio il Corriere del Ticino. In realtà siamo di fronte ad un attacco al principio, sancito dalla legge federale, secondo cui, a tutela dei lavoratori, della loro vita privata e del diritto al riposo, il lavoro festivo deve essere un’eccezione, limitato alle attività essenziali e retribuito con un’indennità salariale del 50%. Si tratta di un principio del diritto del lavoro che va difeso, non di un “diktat” sindacale come sostiene il quotidiano luganese. In gioco vi sono le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che già subiscono la diffusa precarietà, la sotto-occupazione, le difficoltà nel conciliare attività professionale e vita privata e che percepiscono salari indecenti. E d’altro canto un’estensione delle aperture dei negozi non rappresenta un bisogno per i consumatori: gli orari attuali previsti dalla legge entrata in vigore solo nel 2020, offrono sufficiente libertà di scelta per fare la spesa: oltre 70 ore di aperture a settimana in tutto il cantone e 115 nelle località turistiche e di confine. Sostenere, come fa laRegione in un recente commento che si tratta di orari “ormai incompatibili con i ritmi di lavoro delle persone”, è semplicemente ridicolo. Ed è illusorio credere che le aperture prolungate in Ticino frenino il fenomeno del turismo degli acquisti in Italia, che con tutta evidenza è determinato dal problema del potere d’acquisto delle salariate e dei salariati di questo cantone. Non è nemmeno una questione di essere “al passo coi tempi” e “moderni”, come scrive il citato quotidiano “progressista” che per tentare di convincere i propri lettori a sostenere la modifica di legge si spinge addirittura ad auspicare un Ticino “più svizzero” che segua le orme di una metropoli come Zurigo. La possibilità di fare shopping 7 giorni su 7 in realtà non è sinonimo di modernità e benessere, ma causa di maggiore sfruttamento del personale. Modernità significa invece offrire impieghi e un’organizzazione del lavoro sostenibili, oltre che garantire remunerazioni dignitose alle lavoratrici e ai lavoratori. E anche consentire di sopravvivere ai piccoli commerci, che pure verrebbero fortemente penalizzati da questa legge, non potendo ovviamente reggere la concorrenza della grande distribuzione, che dispone di personale da far ruotare a piacimento (altro che libertà di scelta delle venditrici e dei venditori!) e che sarebbe la sola a trarre vantaggi e profitto dalla legge in votazione. Una legge voluta e sostenuta da chi sogna una società che lavora e produce 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Anche se non lo si dichiara e si preferisce puntare il dito contro i suoi avversari, in particolare contro i sindacati che vogliono scongiurare una simile deriva e che vengono accusati dal primo quotidiano del cantone di avere “paura della libertà” e di “restare aggrappati a vecchi e datati dogmi”. Il ricorso a considerazioni di questo livello che rasentano l’insulto la dice lunga sulla povertà d’argomenti dei fautori e sull’impronta fortemente ideologica di una legge da respingere senza se e senza ma per scongiurare un futuro buio, non solo per venditrici e venditori ma per la società intera.
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