Economia solidale

Rendere   l’economia   più   resiliente   con   il   reinserimento   professionale  in  mestieri  a  vocazione  ecologica  e  sociale.  È  l’obiettivo  del  Reddito  di  transizione ecologica (Rte), un concetto  sviluppato  dalla  filosofa  ed economista Sophie Swaton, dell’Università  di  Losanna.

 

In  un’intervista rilasciata ad area lo scorso  anno,  la  professoressa  ci  aveva  spiegato  come,  di  fronte  alle  crescenti  diseguaglianze  e  all’emergenza ambientale, è più che mai indispensabile costruire progetti aperti alla transizione e che siano più valorizzanti da un punto di vista lavorativo: «Molte  attività  a  vocazione  sociale  o  ecologica  si  stanno  sviluppando  oggi,  in  vari  campi  (agricoltura,  mobilità, finanza solidale, azioni sociali,  creatività  ecc.).  Tuttavia,  non  sono  molto  sostenute  e  i  responsabili dei progetti lottano per guadagnarsi  da  vivere  in  modo  dignitoso   con   queste   attività.   L’Rte è uno strumento che risponde  a  questo  problema  cruciale  e  che deve permettere di fornire un reddito  agli  individui  in  cambio  di attività orientate all’ecologia e alla società».

 

Un’idea teorica e di difficile  attuazione?  No  di  certo, tant’è che in alcuni Cantoni romandi la politica ha deciso di sondare il terreno per una messa  in  pratica  di  questa    proposta. Il   3   marzo,   il   parlamento giurassiano    ha    votato   a   favore  di  un  postulato  che  chiede  uno    studio    sull’introduzione    di  un  Rte  a  livello  cantonale.  Baptiste  Laville,  deputato  per  i  Verdi  e  autore  dell’atto  parlamentare spiega ad area il potenziale dell’Rte in questo momento cruciale: «Se vogliamo guidare le persone colpite dalla crisi, tanto vale  incoraggiarle  a  lavorare  in  occupazioni  che  siano  in  linea  con  le  sfide  di  domani,  in  settori  sostenibili.  L’Rte  incoraggerebbe  la società a muoversi più rapidamente  verso  imperativi  che  non  sono più solo economici, ma anche sociali  ed  ecologici». 

 

Il  deputato  aveva  presentato  una  mozione  (poi   divenuta   postulato)   nel   maggio  2020,  in  piena  prima  fase  della  pandemia.  L’idea  era  quella  di  rispondere  alle  ripercussioni  sociali  ed  economiche  del  Covid-19,  ma  anche  quella  di  sondare  una  nuova  strada  di  fronte  alla  crisi  climatica  e  alla  crescente   digitalizzazione   che   già costringe molte lavoratrici e molti  lavoratori  a  riqualificarsi.  Il tutto in un cantone dove una persona su quattro rischia prima o poi di finire nella precarietà. Il governo  del  Canton  Giura  dovrà  ora  sondare  il  terreno  per  stabilire un sistema adattato alle peculiarità  locali  e  che  permetta  di  versare  un  reddito  a  delle  persone  in  cambio  di  attività  orientate  all’ecologia  e  al  rafforzamento  dei  legami  sociali.  «La volontà del Consiglio di Stato mi sembra forte e sono quindi fiduciosa che si possa andare nella direzione lanciata dalla mia proposta» afferma Baptiste Laville.

 

Sempre  nel  maggio  del  2020,  un’idea  simile  è  stata  avanzata  al  Parlamento  vodese  dalla  deputata ecologista Rebecca Joly. «Per evitare che ci siano dei perdenti  nella  transizione  ecologica,  sia  che  si  tratti  di  dipendenti  di  settori  altamente  inquinanti  come  l’aviazione,  per  esempio,  o  di coloro che devono  affrontare  la  crescente  digitalizzazione, questa    misura    offre  importanti  possibilità  di  riqualificazione»,  ha  spiegato  la  parlamentare  vodese  ai  nostri  colleghi dell’Evénement syndical. Il Gran Consiglio ha di recente accettato il suo postulato con 68 voti contro 65, grazie all’appoggio della sinistra e del centro. Il testo  chiede  al  governo  cantonale  di  studiare  i  vantaggi  e  le  modalità   dell’introduzione   di   tale  strumento  nel  cantone.  «Il parlamento del Giura ha appena accettato un postulato simile. C’è un  impulso  a  trovare  soluzioni  per  la  transizione  ecologica  e  la  reintegrazione  professionale»,  ha  dichiarato  al  riguardo  Rebecca  Joly.  Va  detto  che,  proprio  nel  Canton  Vaud,  il  Consiglio  di  Stato ha già presentato una serie di misure volte alla reintegrazione ecologica. In questo senso lo scorso anno è stato lanciato un invito a presentare delle idee in collaborazione con la Fondazione Zoein, basata a Ginevra e diretta proprio dalla professoressa Sophie Swaton. Alcuni progetti, come l’apertura di una biblioteca d’oggetti a Yverdon, sono già partiti.

 

L’idea  dei  promotori  dell’Rte  è  quella  di  sostenere  a  lungo  termine  quei  lavori  che  oggi  non  hanno  il  riconoscimento  sociale  ed  economico  che  meritano,  ma  che  hanno  un  impatto  ambientale estremamente positivo. A differenza del reddito di base incondizionato,  l’Rte  è  condizionato dal lavoro e non separa l’attività  dal  reddito,  ma  guida  e  accompagna  i  beneficiari  verso  attività  innovative  e  sociali  legate alla transizione ecologica. Per  la  deputata  vodese  Rebecca  Joly,  questa  misura  offre  anche  «soluzioni per le persone che ricevono l’assistenza sociale o che sono disoccupate da molto tempo». Per questo   occorrerebbe   «mettere in  contatto  i  servizi  sociali  e  gli  uffici  di  collocamento,  in  modo  che  possano  lavorare  mano  nella  mano  con  i  promotori  di  progetti  che  si  muovono  nella  direzione della transizione, ma che non hanno  gli  investimenti  necessari  all’inizio». 

 

Gli  esempi  possono  essere  molti:  una  fattoria  che  sta  convertendo  i  suoi  terreni  alla  permacultura  e  che  quindi  ha  bisogno  di  manodopera,  un  negozio  di  prodotti  locali  che  sta  aprendo  e  a  cui  manca  un  venditore  qualificato  o  una  piccola  biblioteca  a  cui  serve  un  impiegato  fisso.  Si  tratta  di  attività  che  non  rispondono  a  delle  logiche  di  mercato,  ma  il  cui  contributo  per  la  società  e  l’ambiente è sicuramente molto importante.

 

Baptiste  Laville,  da  parte  sua,  propone   la   creazione   di   una   cooperativa  per  la  transizione  ecologica  che  riunisca  autorità,  associazioni,    imprese    private    e  anche  i  sindacati.  «Non  vi  è  transazione  ecologica  senza  una  transazione sociale che sia garante  di  una  migliore  ripartizione  delle  ricchezze.  In  questo  senso  il  ruolo  dei  sindacati,  come  organo  che  difende  lavoratrici  e  lavoratori,  è  molto  importante  per  fare  in  modo  che  questa  transizione  avvenga  garantendo  delle  buone  condizioni  sociali  e  di  lavoro»  si  spiega  il  deputato  giurassiano.  Un’idea  che  si  fonda  proprio  sul  modello  definito  da  Sophie  Swaton  e  che  è  già  stata  messa  in  pratica  in  alcune  zone  della  Francia. 

 

La  stessa  Swaton,  nell’intervista    rilasciataci    un    anno  fa  aveva  anch’essa  messo  l’accento  sul  ruolo  dei  sindacati «sia per evitare le derive legate alle  nuove  piattaforme  digitali,  sia  nel  denunciare  pratiche  dannose per l’ambiente».

 

Pensiamo un attimo: se solo una parte dei miliardi che la Confederazione  ha  elargito  a  settori  inquinanti, avidi e non sostenibili fosse dirottato verso piccoli progetti  dal  forte  impatto  ecologico  e  ambientale  non  sarebbe  male.  Ci  guadagneremmo  tutti.  In  termini  di  qualità  di  vita, di benessere delle persone, di  protezione  dell’ambiente  e  d’impatto  sull’impiego.  Questo  avrebbe  certo  un  costo  iniziale,  ma  a  lungo  termine  potrebbe  anche portare dei vantaggi economici  alle  casse  pubbliche.  In  Ticino,  per  ora,  di  questa  idea  non  si  è  ancora  sentito  parlare.  Per  questo  lanciamo  la  palla  a  qualche   deputata   o   deputato   che potrebbe far sua una proposta in tal senso.

Pubblicato il 

04.06.21
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