A volte mi chiedo se gli anniversari servono davvero a ritrovare il bandolo della memoria. Sul selciato delle parole, delle ricostruzioni di fatti, catastrofi e pagine dolorose della storia non sempre le verità riescono a raggiungerci. Trent'anni dopo l'incidente di Seveso, il ritorno nei luoghi degli accadimenti restituisce tutta la normalità, a volte drammatica, di una popolazione che si ritrova a vivere in bilico tra il desiderio di rimozione e quello di riscatto dalle ferite di un tempo. Seveso è davvero l'emblema delle catastrofi che non fanno rumore, invisibili. E la diossina un veleno che, pur non facendo vittime immediate e pur confondendo le tracce sui suoi effetti mortali, non solo ha avvelenato terreno e animali ma ha anche gettato fra la gente semi d'astio e divisione. Il risarcimento milionario (in franchi) ai comuni colpiti dalla nube venefica della Givaudan (controllata dalla multinazionale Hoffmann–La Roche), alla Regione Lombardia e allo Stato italiano appare come uno scudo dietro cui si sono riparati i veri responsabili della catastrofe. Una catastrofe prevedibile, ma per la multinazionale solo "un inconveniente". Il lampante atteggiamento colonialista della Hoffmann – La Roche faceva sì che l'Italia venisse considerata alla stregua di un paese del Terzo mondo, tanto che il 28 agosto 1976, il presidente del colosso chimico Adolf W. Jann dichiarò spudoratamente a proposito di Seveso: «Si sa che gli italiani e specialmente le donne si lamentano sempre; tutti sanno che gli italiani sono un popolo estremamente emotivo. (…) Capitalismo vuol dire progresso e il progresso può portare talvolta a qualche inconveniente (…)». Una sicumera che è espressione di una filosofia aziendale che risparmia volutamente sulla sicurezza dei suoi impianti considerando la messa in pericolo della vita delle persone e dell'ambiente come danno collaterale. Ma tante altre Seveso hanno rischiato e rischiano di esplodere, oggi più che in Europa nel resto del mondo dove non vi sono sguardi indagatori a disturbare l'installazione di impianti pericolosi a basso prezzo e al limite della fatiscenza. Un nome per tutti: Bhopal 1984. L'atteggiamento colonialista della multinazionale svizzera è oggi più vivo che mai. Solo che attualmente le multinazionali mettono radici in paesi dove vi sono governi compiacenti, dove il silenzio è una questione di prezzo, dove i lavoratori sono schiavi, ingranaggi dei processi produttivi. Paesi-pattumiera dove smantellare a mani nude navi imbottite d'amianto, dove riversare scorie radioattive o dove sperimentare nuovi farmaci indisturbati. Perché oramai Seveso non si trova più in Brianza, si è spostata laddove la memoria se la mangiano la corruzione e la miseria. |